"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

giovedì 25 ottobre 2012

Che cos'è lo sfruttamento sostenibile?

Che cos'è lo sfruttamento sostenibile?
Uno scherzo? Una provocazione?
Forse un'allusione alle guerre umanitarie?
O alle missioni di pace?

Siamo andati, due anni fa, a chiederlo a Slow Food, l'associazione che organizza il Salone del Gusto di Torino.

Abbiamo pensato che fosse - Slow Food con il suo Presidente Carlo Petrini - una delle realtà più ferrate sul tema, dato il gran parlare che fa di produzioni "sostenibili", allevamento "etico", rispetto dei diritti.

Siamo andati a chiederlo l'anno scorso alla fiera della pesca sostenibile, Slow Fish (eh sì, ci ha incuriosito anche la pesca sostenibile, lo ammettiamo).

Siamo andati a chiederlo alla cerimonia di inaugurazione del Salone del Gusto 2012 e abbiamo volantinato alla stampa presente le ragioni di chi lo sfruttamento sostenibile, negli allevamenti bio-eco-compatibili, lo vive quotidianamente: gli animali.

Andremo a chiederlo pubblicamente, in piazza, domenica 28 ottobre.
Davanti al Salone del Gusto 2012, dalle 10 alle 19, presso Lingotto Fiere, via Nizza 280 - Torino.
Per chi vuole partecipare, i dettagli sono qui:

Nel frattempo, una prima risposta l'abbiamo trovata vedendo l'anteprima fotografica del Salone su corriere.it.

Probabilmente, lo sfruttamento sostenibile è questo:


We want a vegan world - Sumirago 28/10

Segnaliamo la seguente iniziativa, all'interno della quale è prevista una presentazione del Progetto BioViolenza.


mercoledì 17 ottobre 2012

Torino 28 ottobre: in piazza per gli schiavi non umani

DOMENICA 28 OTTOBRE
Torino, Lingotto Fiere, via Nizza 280
DALLE 10.00 ALLE 19.00

PRESIDIO CONTRO LO SFRUTTAMENTO "SOSTENIBILE
"

Associazioni e singoli possono inviare la propria adesione al presidio scrivendo a: bioviolenza@gmail.com
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Torna l'appuntamento biennale con il Salone del Gusto di Torino e "Terra Madre", iniziativa internazionale promossa da Slow Food con il finanziamento delle istituzioni statali, regionali e comunali.

Con il Salone del Gusto, torna anche, però, l'apologia della schiavitù animale. Migliaia di corpi senza vita saranno in vendita presso gli stand della fiera, fra i discorsi sulla sostenibilità ambientale e la difesa dei piccoli agricoltori.

Due anni fa il Progetto BioViolenza era andato a mostrare l'ipocrisia di chi parla di etica, diritti dei lavoratori del terzo mondo, equa distribuzione delle risorse alimentari, prodotti a km zero e persino di "benessere animale".

Due anni fa abbiamo rovinato la festa di questi signori, intervenendo senza invito alla conferenza finale di "Terra Madre", per ricordare le vittime senza voce che per l'allevamento "sostenibile" sono soltanto fonte di carne, latte, uova e non esseri senzienti, e per ricordare che etica e sostenibilità non possono essere promosse per alcuni soggetti (umani) a spese di altri (non umani).

Anche quest'anno, andremo a chiedere con determinazione un vero confronto con Slow Food sul tema che ci sta a cuore: è legittimo imprigionare e uccidere degli esseri viventi per la nostra alimentazione soltanto perchè non possono difendersi? E: se lo sfruttamento è "dolce", non inquina e produce cibi più salutari, diventa ammissibile?

DOMENICA 28 OTTOBRE - TORINO, LINGOTTO FIERE, VIA NIZZA 280

DALLE 10.00 ALLE 19.00

PRESIDIO CONTRO LO SFRUTTAMENTO "SOSTENIBILE
"


Evento facebook:  http://www.facebook.com/events/442004555841590/

www.bioviolenza.blogspot.it

giovedì 11 ottobre 2012

Carne "felice"? Un'altra ipocrisia

Carne "felice"? Un'altra ipocrisia
di Francesco Pullia

Siamo circondati, sommersi, da mistificazione e malafede. Spesso e volentieri, ci si appiglia a costruzioni mentali pretestuosamente strumentali pur di non scalfire credenze che, se si sgretolassero, metterebbero in crisi le basi di un sistema al tempo stesso ideologico ed economico. Il rapporto con gli altri animali, con i non umani per intenderci, è la cartina di tornasole di questa condizione, perché rimanda ad un insieme di ordini sedimentato, stratificatosi nel corso del tempo. Un insieme fondato sullo sfruttamento, sulla violenza, sull’assoggettamento, sull’annientamento dell’altro. Siamo soliti, ad esempio, interrogarci su “cosa” mangiamo, mentre dovremmo farlo su “chi”, su quale essere, sottoposto ad allevamento, uccisione, sezionamento, è finito nel piatto.

Non solo l’altro viene privato della vita ma viene oggettivato, reificato. Occultiamo, tramite l’invisibilità, i luoghi da cui il vivente uscirà sotto forma di trancio, di parte sottratta a una totalità palpitante. Rendiamo difficile l’accesso ai lager in cui individui di specie diverse, ridotti a numeri e cartellini, vengono forzatamente nutriti e sottoposti ad abrasioni o menomazioni per produrre carne, latte, uova, paté, confezioni di pesce, capi d’abbigliamento.

Lo strazio consumato lontano dagli occhi e dalle orecchie, lo sprezzante esercizio di brutale dominio perpetrato, come nelle deportazioni in massa durante il nazismo o lo stalinismo, con la complicità, diretta o indiretta, volente o nolente, dei consumatori, non (si) concede pause.

Come se non bastasse, ecco la trovata di ammantare l’orrore, fornendo un alibi, infiocchettandolo. Ed ecco, allora, lo slow food, la “carne felice” o pseudo tale, scaturita cioè da un’operazione di imbellettamento il cui scopo è alleviare le coscienze dei consumatori. Come se al bovino o al suino allevato nelle fattorie “bio” non spetti, in fondo, identica fine del bovino o del suino che ha trascorso la propria esistenza nell’artificiosità dei grandi complessi industriali.
E’una sorta di etichettamento eufemistico, ha scritto Annamaria Manzoni, quello che “ci parla di mucche felici (di vedersi sottratto il vitellino appena nato, che viene allontanato urlante e disperato), che ci mostra maialini danzanti (per essere stati evirati, amputati, appena nati, di denti e coda), che definisce la caccia “buona” (perché stermina a pallettoni animali in sovrappiù per il gioioso piacere di uomini – e donne! – in assetto di guerra), di macellazione umanitaria (ma gli ossimori sono per definizione termini incompatibili tra di loro)”.

Un allevamento o un mattatoio “ottimali” sono, in realtà, un controsenso. Non possono esistere. E’ come se ci fossero stati campi di concentramento in cui gli internati venivano trattati “bene” per essere meglio inceneriti.

Come Guido Ceronetti, antiretore per eccellenza, ha constatato, “anche solo la vista di vagoni carichi di creature sofferenti dovrebbe lasciare qualche traccia (…). Chi sa questo e guarda anche solo per una volta gli occhi di un vitello dietro le sbarre, si sentirà – specie se ne è corresponsabile attraverso le sue abitudini alimentari - consciamente o inconsciamente colpevole, offeso nella sua umanità. Alla lunga, però, un comportamento che intuisce l’ingiustizia ma non fa nulla contro di essa rende malati e questa indifferenza nei confronti delle creature a noi affidate e della loro sofferenza è forse una malattia peggiore del morbo della mucca pazza, perché più diffusa”.

Non è ipocrita e mistificatorio, dunque, come è stato fatto recentemente sul Domenicale del Sole 24 Ore da parte di una “bioeticista”, utilizzare la foglia di fico del cosiddetto “benessere animale” per perorare meglio le “ragioni del mercato” (vale a dire dello sfruttamento)? E ancora: ha senso parlare di “biosicurezza” e “riduzione di lunghezza delle filiere” se, poi, la fine per l’animale è ugualmente segnata, l’esito è sempre tragicamente lo stesso?

mercoledì 10 ottobre 2012

Maurizio Pallante: La carne è INSOSTENIBILE

da Antispecismo.net
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Riportiamo qui sotto una ennesima presa di posizione contro il consumo di carni, di denuncia dell'impatto decisamente anti-ecologico della produzione di proteine animali, il tutto questa volta a firma codnivisa da uno tra i più stimati pensatori della Decrescita: Maurizio Pallante.
Ci permettiamo però di fare notare come tali denunce inciampino sul tentativo di attivare nei lettori una reazione empatica verso la sofferenza - resa evidente, ma implicita - che questi "comportamenti alimentari" ingenerano in altri umani (di incoraggiare dunque una nuova etica) completamente dimentichi del silenzio voluto e assecondato sulla sofferenza di chi, al di là di ogni considerazione e percentuale di calcolo, per questi "comportamenti alimentari" soffre davvero: gli animali.
Si punta dunque all'autocritica (rispetto a comportamenti che inducono sofferenza) selettiva, contando su una reazione di immedesimazione con altri che pagherebbero lo scotto dei nostri eccessi (o vizi), mentre al contempo si nega l'esistenza (che è sofferenza) stessa degli animali, citandoli di fatto solo come risorse primarie.
Un'etica della compassione selettiva di questo tipo, dove si auspica di porsi nei panni di alcune vittime indirette, mentre si nega l'insopportabile presenza di vittime dirette, la cui oggettiva sofferenza ormai è offuscata solo da una stupida, ottusa, imbrigliante, dogmatica ed ostinata cecità, non può pagare ed è oltre la favola: la iper-favola di chi vuole ancora credere che un'umanità estremamente nonviolenta, solidale e pacifica con se stessa, ma torturatrice e schivista verso chi semplicemente è ridotto in catene, possa davvero esistere.



L'insostenibile pesantezza della Carne

di Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Il consumo di proteine animali, nel mondo, cresce costantemente. Tanto che, secondo alcuni, questo fenomeno sta aiutando la specie umana ad andare più rapidamente verso la sua autodistruzione. A questo fenomeno, in effetti, sono legati i più gravi problemi ambientali, economici e politici del pianeta: le emissioni di gas climalteranti e l’effetto serra, leguerre per il controllo delle fonti energetiche fossili, la progressiva penuria di un bene indispensabile per la vita come l’acqua, molte forme di inquinamento chimico, la diminuzione di fertilità dei suoli, la perdita della biodiversità, le sempre maggiori sperequazioni tra il 20 per cento dell’umanità che si suicida per eccessivo consumo di cibi sempre meno sani e il 20% privo del necessario per sopravvivere.

Tutti questi problemi potrebbero essere ridotti drasticamente dalla diffusione di un regime alimentare vegetariano, o quanto meno da una significativa riduzione dei consumi di proteine animali. Possono sembrare affermazioni eccessive dettate da fanatismo ideologico, ma basta mettere insieme alcuni dati di pubblico dominio per comporre un quadro unitario che i singoli tasselli isolati non lasciano vedere in tutta la sua ricchezza.

La prima cosa da prendere in considerazione è la crescita dei consumi di proteine animali, in valori assoluti pro capite. Negli ultimi 50 anni in Italia il consumo di carne procapite si è triplicato. È stato calcolato che nel 1994 fosse di circa 85 chili all’anno, pari a 235 grammi al giorno. La tabella seguente documenta quanto è avvenuto nelle principali aree del mondo negli ultimi 40 anni. La tabella successiva mette a confronto i dati del consumo mondiale di carne e di latte nel 1997 con gli incrementi previsti dalla Fao nel 2020. Gli aumenti maggiori si verificano negli allevamenti intensivi dei Paesi ricchi.

Aumento del consumo di carne pro capite negli ultimi 40 anni
(in kg. Annui)

Stati Uniti 89 124

Europa 56 89

Cina 4 54

Giappone 8 42

Brasile 28 79

Consumo mondiale di carne e latte
(in milioni di tonnellate)

Anno 1997 2020 incremento

Carne 209 327 + 56%

Latte 422 648 + 54%

La FAO prevede che entro il 2050 la produzione di carne e latte raddoppieranno, passando rispettivamente da 229 a 465 milioni di tonnellate e da 580 a 1053 milioni di tonnellate. Un problema, visto che la conversione delle proteine vegetali in proteine animali avviene con unascarsissima efficienza. Per produrre 1 kg di proteine di carne di manzo occorrono mediamente 16 kg di proteine vegetali. Di conseguenza per ottenere 1 kg di proteine di carne vaccina occorre coltivare una superficie agricola 16 volte maggiore di quella necessaria a ottenere i kg di proteine vegetali. Il rapporto tra la soia e la carne di manzo è invece di 20 a 1. Usando lo stesso tempo e la stessa superficie necessari a produrre 1 kg di carne, si possono produrre 200 kg di pomodori o 160 kg di patate.

Considerando il fatto che, specie in America Latina, la maggior parte della soia e dei cereali coltivati (spesso Ogm, viste le rese e i prezzi stracciati che possono garantire questi organismi dagli effetti sulla salute ancora ignoti) sono destinati a nutrire il bestiame che diventerà bistecca o ragù nei piatti degli europei, viene da chiedersi se, arrivati a questo punto, cambiare anche di poco le proprie abitudini alimentari non sia la scelta più sensata.

martedì 9 ottobre 2012

L'autunno in campagna può essere soffocante (fumetto antispecista)

L'autunno in campagna può essere soffocante
di S. Cappellini e M. Reggio

Elaborato per la mostra "Al Ponte dell'Arcobaleno", organizzata dal gruppo Luna Corre, ottobre 2011
  

Per vedere il fumetto in sequenza e/o stamparlo, vai qui >>
Per vedere il filmato su YouTube >>

giovedì 4 ottobre 2012

Slow Food e Terra Madre: lettera a Carlo Petrini

In attesa della tre giorni del Salone del Gusto / Terra Madre, che si terrà a Torino, e del presidio di controinformazione e protesta contro l'allevamento "sostenibile" organizzato per domenica 28 ottobre, pubblichiamo qui la lettera che abbiamo inviato a Carlo Petrini, presidente di Slow Food, come Progetto BioViolenza.

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Egr. Carlo Petrini,

a nome degli attivisti animalisti che in questi anni si stanno occupando dell'analisi di quella che noi definiamo “bio-violenza” o “happy meat” (vedi www.bioviolenza.blogspot.it/), vorrei ricordarle alcune questioni di cui abbiamo discusso sia con lei direttamente che con alcuni rappresentanti di Slow Food.

Al Salone del Gusto di Torino di due anni fa, gli animalisti hanno distribuito per tre giorni migliaia di volantini per denunciare la mancanza di un punto di vista etico diverso dal vostro in un evento che fa dell’etica il suo cavallo di battaglia. Con un blitz all’assemblea finale di “Terra Madre”, davanti a migliaia di delegati e giornalisti da tutto il mondo, alcuni attivisti si erano conquistati anche lo spazio per evidenziare quella posizione, tutta antropocentrica, di chi discetta di etica, benessere e sostenibilità, mentre nello stesso tempo non riesce ancora a fare a meno dello sfruttamento e dell'uccisione di altri viventi senza porsi problemi di coscienza, per'altro in sintonia con fette importanti di popolazione "sensibile" e di realtà produttive “sostenibili”, sia per quanto riguarda le condizioni dei lavoratori, lo sviluppo locale e la tutela dell'ambiente, ma non ancora, purtroppo, nei confronti della sofferenza degli animali.

Abbiamo contestato “Slow Fish” a Genova. Se i mammiferi sembrano meritare almeno un abbozzo di discussione sulle modalità con cui dovrebbero poter condurre la loro breve vita, è evidente che i pesci non godono nemmeno della minima considerazione. L’unico problema che Slow Food considera sono i danni agli ecosistemi, all’ambiente, alla quantità di fauna marina disponibile. Della sofferenza dei pesci non interessa nulla a nessuno, neppure ai vostri “esperti” biologi marini che negano ancora, nonostante i molti studi di etologi illustri sull’argomento, che il sistema nervoso dei pesci sia sensibile al dolore in modo paragonabile a quello dei mammiferi (nel caso volesse approfondire, abbiamo una registrazione -che possiamo spedirle- con il Presidente del Comitato Scientifico, dott. Silvio Greco, che durante il colloquio con una nostra delegazione a “Slow Fish” anacronisticamente sosteneva una differenza qualitativa della sofferenza tra pesci e altri animali terrestri – sic).

In queste circostanze ci avete detto che il dialogo con gli animalisti è auspicabile, che dovrebbe essere incentivato e ci avete spronato ad un confronto, e siamo qui a ribadire e rinnovare la nostra disponibilità.

Molte persone che gravitano intorno a Slow Food sono anche animaliste: lo dimostrano, oltre alla quantità dei vostri associati vegetariani e vegani, gli applausi che hanno accompagnato le parole di protesta a favore della "liberazione" animale durante il blitz di cui sopra. Anche per questo riteniamo doveroso proporre la discussione etica sull’importanza della vita dei singoli individui animali al centro del vostro/nostro dibattito.

Chiediamo quindi di partecipare alla prossima edizione del Salone del Gusto di Torino con un intervento corposo e non occasionale, fortuito o strappato con la furbizia. Vorremmo dunque concordare con lei direttamente (o con uno degli organizzatori principali dell’evento) le modalità di un nostro intervento, in occasione della Conferenza finale di “Terra Madre”. Vorremmo dare voce agli ospiti muti che, loro malgrado, parteciperanno alla fiera, nella speranza di aprire un dibattito serio e costruttivo sull'utilizzo degli animali nella produzione, mettendo in discussione anche il concetto – per noi ambiguo – di “benessere animale”. Uno spazio ufficiale con pari dignità rispetto agli altri potrebbe dimostrare che, almeno sul piano del dibattito, il tema dei soggetti animali ha analoga considerazione rispetto agli altri importanti temi etici di cui Slow Food si è fatta carico in questi anni. Siamo certi che, a differenza di come è stato in passato, si possa reciprocamente considerare il dibattito sul tema come un'importante opportunità di confronto.



Bio-violenza

www.bioviolenza.blogspot.it

martedì 2 ottobre 2012

28 ottobre, Salone del Gusto di Torino: in piazza contro lo sfruttamento sostenibile



Torna l'appuntamento biennale con il Salone del Gusto di Torino e "Terra Madre", iniziativa internazionale promossa da Slow Food con il finanziamento delle istituzioni statali, regionali e comunali.


Con il Salone del Gusto, torna anche, però, l'apologia della schiavitù animale. Migliaia di corpi senza vita saranno in vendita presso gli stand della fiera, fra i discorsi sulla sostenibilità ambientale e la difesa dei piccoli agricoltori.


Due anni fa il Progetto BioViolenza era andato a mostrare l'ipocrisia di chi parla di etica, diritti dei lavoratori del terzo mondo, equa distribuzione delle risorse alimentari, prodotti a km zero e persino di "benessere animale".

Due anni fa abbiamo rovinato la festa di questi signori, intervenendo senza invito alla conferenza finale di "Terra Madre", per ricordare le vittime senza voce che per l'allevamento "sostenibile" sono soltanto fonte di carne, latte, uova e non esseri senzienti, e per ricordare che etica e sostenibilità non possono essere promosse per alcuni soggetti (umani) a spese di altri (non umani).



Anche quest'anno, andremo a chiedere con determinazione un vero confronto con Slow Food sul tema che ci sta a cuore: è legittimo imprigionare e uccidere degli esseri viventi per la nostra alimentazione soltanto perchè non possono difendersi? E: se lo sfruttamento è "dolce", non inquina e produce cibi più salutari, diventa ammissibile?

DOMENICA 28 OTTOBRE - TORINO, LINGOTTO FIERE, VIA NIZZA 280
DALLE 10.00 ALLE 19.00
PRESIDIO CONTRO LO SFRUTTAMENTO "SOSTENIBILE

lunedì 1 ottobre 2012

Slow Food e la compassione selettiva

Compassione selettiva.

Così potremmo definire lo stato emotivo che sembra voler suscitare Slow Food con un video di denuncia sulle condizioni degli schiavi umani che, in Thailandia, lavorano in condizioni vergognose nell'industria della pesca. Una compassione tanto acuta nei confronti degli oppressi umani, quanto cieca nei confronti di quelli appartenenti ad altre specie.

Riportiamo il commento di una persona che ci ha scritto per segnalare il video, per ricordare che anche la sofferenza degli abitanti non umani del mare è, in questi casi, atroce, e per sottolineare come la compassione verso una specie non può e non deve togliere la possibilità di provare compassione verso un'altra specie.

"Quanta motivata indignazione per gli schiavi birmani. Così tanta che non ne rimane più per i miliardi di esseri chiamati "immondizia" seppur senzienti. Uccisi per nutrire altri miliardi di gamberetti allevati per essere pur essi uccisi.
In questo video, oltre al dolore degli schiavi umani, l'infinito dolore di quelli che, tolti dal loro elemento, cercano di sfuggire inutilmente come il polipo, o che agonizzano asfissiati.
In tutto il video risuona il fragore di urla disperate e mute - urla che si sentono solo con le orecchie dell'empatia e non con i timpani."