"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

giovedì 20 settembre 2012

Un dio sostenibile

Di tanto in tanto, navigando in rete si trovano spunti interessanti per capire in che modo la retorica della "carne felice" può far presa sull'opinione pubblica.
E' il caso di un simpatico articolo che racconta delle difficoltà di un giovane allevatore appassionato al benessere degli animali, nel caso specifico alcuni maiali e - in futuro - alcune capre. Come al solito, ci viene raccontata la favola dello sfruttamento (questa parola è nostra...) in condizioni "rispettose" (questa, invece, è loro...).
Ma, a parte questo, compaiono espressioni capaci di catturare la nostra attenzione di persone ostinatamente convinte che la schiavitù è sempre schiavitù, anche se è dolce, sostenibile, o se i suoi prodotti transitano da un gruppo d'acquisto (solidale...).
Per esempio, "la scelta produttiva dei proprietari del terreno è coraggiosa". Interessante, che si usi un termine per indicare il suo contrario. Perchè disporre della vita di esseri indifesi, determinarne le attività sessuali, i parti e i ritmi vitali, e stabilirne l'ora della morte, possiamo anche chiamarlo coraggio, ma in sostanza intendiamo viltà.
Oppure: "allevamento secondo criteri rispettosi del benessere animale". Il solito ossimoro in stile happy meat, si dirà. Certo. E' che anche il concetto di rispetto ci sta un po' stancando. Funziona sempre molto bene quando si ha qualcosa da nascondere: basta dire che quel qualcosa almeno è rispettoso delle vittime. Ma qui non ci si spinge a tanto: l'allevamento rispetta un concetto, altrettanto fumoso, e cioè il "benessere".

O ancora - dice l'autore dell'articolo: "mi fa vedere come siano puliti i maiali se li si lascia vivere come dio comanda, mi spiega che sono molto intelligenti, che hanno imparato a schiacciare il bottone della fontanella in modo che il getto dell’acqua vada di lato a formare un piccolo stagno". Quanta distanza sembra esserci dal cartesianesimo dei "vecchi" allevatori di animali, che vedevano in essi poco più che macchine. Sembra quasi la descrizione di una vera e propria relazione fra esseri senzienti, umani e non umani. E di una relazione si tratta, in effetti, anche se viziata - ahinoi - da una asimmetria ineludibile, quella fra dominante e dominati. Affannarsi a ricercare nei non umani caratteristiche umane (e delle più alte: l'intelligenza di chi adopera strategie complesse per costruirsi uno stagno, per esempio) è un esercizio che i paladini dei diritti animali conoscono bene, proprio perchè lo hanno praticato a lungo, convinti che l'umanità possa vedere nei non umani dei "quasi umani", come se fosse il grado di somiglianza alla nostra specie a determinare il grado di dignità che siamo disposti a concedere. Forse, però, questo allevatore, così consapevole delle facoltà mentali dei suo schiavi, ci mostra che non è poi così importante che gli animali siano o meno dei piccoli Einstein, se il destino che li attende è comunque il macello.

E infine: l'allevatore ci dice come sia bello "se li si lascia vivere come dio comanda". Come dio comanda... Anche nella versione "bio", lo sfruttamento degli animali è un fatto ineluttabile, è dio che lo vuole. E chi può ribellarsi a dio? Tanto più che è un dio solidale, un dio moderno, il primo dio sostenibile.

martedì 18 settembre 2012

La coop sei tu


L'immagine qui a fianco è tratta da un manifesto pubblicitario COOP.
"Oltre al danno, la beffa", verrebbe da dire.
 Ma, per l'ennesima volta, dobbiamo ricordare che la beffa non è fine a se stessa. Essa fa parte di una strategia che mira a sdoganare la mattanza degli animali - ed il consumo dei loro corpi - come fenomeni accettabili, la cui problematicità può essere ignorata grazie all'intervento degli specialisti del "benessere animale". Nessun complottismo da quattro soldi: non è una strategia occulta, ma un meccanismo che perlopiù agisce autonomamente, con qualche piccolo aiutino da parte del marketing più scaltro e lungimirante.

Certo, i pubblicitari che hanno ideato questo manifesto devono avere bene in mente che esiste una fetta di consumatori che prediligono un supermercato che ha fatto dell'"etica" il proprio marchio di fabbrica, e che questi consumatori si impressionano quando pensano agli allevamenti intensivi, a migliaia di mucche private dei figli e stipate in spazi angusti. E dunque - non sia mai! -, gli animali COOP hanno "tutte le cure che meritano". E chissà perchè nessuno dice quali sono queste cure. Forse così è più facile immaginarsi immensi prati verdi popolati da bovini felici al pascolo.
Ma soprattutto, è più facile non pensare alla fine che faranno, questi schiavi più "fortunati" a marchio COOP. La stessa dei loro simili rinchiusi negli allevamenti industriali, in sostanza, quella che nessuno - a conti fatti - meriterebbe: il macello.

Varie volte abbiamo denunciato la retorica della "carne felice". Raramente, però, ci è sembrata così appropriata, un'immagine, per mostrare come essa opera. Si suggerisce, qui, che lo schiavo sia contento di donarsi a noi. Un gesto di cuore,  di una generosità simboleggiata dalle corna a forma, appunto, di cuore. Quasi grottesche, a ben vedere, sotto una frase che non dissimula neppure il reale status di queste vittime dell'industria "sostenibile": "capi di bestiame", una sorta di lapsus del marketing della carne felice.


sabato 8 settembre 2012

IO NON SONO UN PREMIO!

dalla newsletter del Collettivo Antispecista, riceviamo una segnalazione con invito a protestare contro il BioFestival di Grottammare, nell'ambito del quale viene messo in palio, come premio, un vitello. Di seguito le nostre brevi considerazioni sulla vicenda.

Come accade talvolta (sempre più spesso, sembrerebbe) la diffusione dell'agricoltura biologica, serve, fra le altre cose, a rendere più accettabile lo sfruttamento e l'uccisione degli animali, come se sfruttamento e uccisione potessero essere più o meno sostenibili a seconda di quanto inquinano o della qualità del "prodotto finale". In questo caso, il tentativo sembra quasi maldestro. Alla lotteria del Biofestival di Grottammare (Ap) del 7-9 settembre viene infatti proposto come premio un vitello. Evidentemente, per gli organizzatori, considerare un essere senziente alla stregua di una merce fra le tante sembra lecito, se tutto avviene con il marchio "bio"...
Di seguito gli indirizzi a cui scrivere per protestare contro questa scelta:


e.malavolta@aiab.it; info@toralsrl.it; aiab.marche@aiab.it;sindaco@comune.grottammare.ap.it;info@legambientesbt.it

cc: sanbenedetto@corriereadriatico.it; cronaca.ascolipiceno@ilcarlino.net;laprovinciamarche@libero.it; ansa.ancona@ansanet.it; tg.marche@rai.it;arcanimali@tiscali.it;