"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

martedì 20 dicembre 2011

Parte terza: GreenPeace da che parte sta? Valutate...


Ed eccoci giunti alla risposta di GP, che sfata i nostri sospetti:

Buongiorno,
rispondo in merito alla sua segnalazione a seguito del lancio del nostro questionario sul tonno.
A Greenpeace ci sono onnivori, vegani e vegetariani: le scelte di consumo non sono un fattore discriminante. La scelta vegetariana/vegana (che rispettiamo) è una scelta personale che per vari motivi - culturali, di salute, di contesto geografico - non tutti possono sostenere, né tantomeno è il nostro ruolo quello di sponsorizzare una dieta o uno stile di vita.
Quello che sosteniamo è che dobbiamo tutelare il Pianeta e tutti gli esseri viventi che lo abitano per garantire al Pianeta stesso un futuro.
Le tartarughe non sono più importanti del tonno. Il punto è che alcune specie di tartarughe e squali sono a rischio estinzione e l'uccisione anche di poche migliaia di esemplari potrebbe distruggere le popolazioni di tartarughe e squali esistenti.
Per quanto riguarda il tonno, non interferiamo con le scelte dei singoli ma chiediamo all'industria del tonno in scatola di garantire piena tracciabilità e trasparenza, di non pescare specie a rischio e di impegnarsi a vendere solo tonno pescato in maniera sostenibile, per esempio con amo e lenza o senza FAD.
Comprenderà dunque come il questionario sia stato formulato proprio per raccogliere un campione significativo di risposte da parte dei consumatori di tonno, nell’ottica di una strategia specifica di campagna.

Certa di avere risposto alle sue domande le porgo cordiali saluti

Irene Longobardi
Relazioni con i sostenitori
Greenpeace ONLUS
Via Della Cordonata, 7

00187 Roma



La nostra risposta

Gent.ma Sig.ra Longobardi,

Finalmente è giunta, al terzo scambio di lettere, l'ammissione che attendevamo. Il questionario è, come Lei stessa scrive, "stato formulato proprio per raccogliere un campione significativo di risposte da parte dei consumatori di tonno". Benissimo. C'è però un piccolo particolare che non quadra: il sondaggio, come tutta la campagna "Tonno in trappola", non prevede l'esclusione di parte di pubblico.
In pratica: NON RISULTA ESSERE INDIRIZZATO AD UN PUBBLICO PRESELEZIONATO.

Quindi, per non perpetuare ulteriori fraintendimenti, Vi consigliamo di evidenziare che il Vostro sondaggio è RISERVATO a chi non intende in alcun modo mettere in discussione la legittimità della strage quotidiana dei tonni o di qualsiasi altro abitante del mare (o della terraferma!) per l'alimentazione umana.

Poichè l'opzione vegana, pur rappresentando la soluzione delle problematiche trattate, non viene da Voi neppure menzionata , Vi chiediamo di dare evidenza alle motivazioni dell'esclusione, altrimenti arbitraria, della considerevole parte di pubblico che ha già scelto nella pratica quotidiana di "salvare il tonno".

Saluti
BioViolenza

giovedì 1 dicembre 2011

Quando la risposta di GreenPeace è “insostenibile”

Alla prima mail di protesta come Bioviolenza e come attivist* singol* abbiamo ricevuto tutt* la stessa risposta:


Buongiorno XXX (nome preso dalla firma in calce),

è necessario precisare che Greenpeace è un'associazione ambientalista, non animalista, e quindi non ritiene che gli animali non debbano essere catturati e/o mangiati "a prescindere".
Qui a Greenpeace ci sono persone che mangiano carne o pesce, persone vegane e persone vegetariane: l'alimentazione non è un fattore discrimante. La scelta vegetariana/vegana (che rispettiamo) è una scelta personale che per vari motivi - culturali, di salute, di contesto geografico - non tutti possono sostenere.
Quello che sosteniamo è che tutti gli animali - ma anche tutte le piante, tutti gli uomini e...tutto il resto - debbano essere tutelati in modo da avere un futuro.
Le tartarughe non sono più importanti del tonno. Il punto è che alcune delle specie di tartarughe e squali sono a rischio di estinzione e l'uccisione anche di poche migliaia di esemplari potrebbe distruggere completamente queste popolazioni.
Per quanto riguarda il tonno, non interferiamo con le scelte dei singoli ma chiediamo all'industria del tonno in scatola di garantire piena tracciabilità e trasparenza, di non utilizzare specie a rischio e di impegnarsi a vendere solo tonno pescato in maniera sostenibile, per esempio con amo e lenza o senza FAD.
cordialmente

Giorgia Monti
Responsabile Campagna Mare
Greenpeace Italia

ANCHE VOI AVETE RICEVUTO LA STESSA RISPOSTA STANDARD, INDICE DI UN'ATTENTA LETTURA DELLE RIMOSTRANZE SOGGETTIVE?

RIBADIAMO CHE GREENPEACE DEVE CHIARIRE LA SUA POSIZIONE E ABBIAMO INVIATO QUESTA SECONDA MAIL (ci risponderanno?):

Gentile Sig.ra Monti,

la ringraziamo per la risposta, evidentemente standard, che ha voluto inviarci.
E' insignificante che Lei affermi che la scelta vegana/vegetariana sia da Voi rispettata, quando, nei Vostri sondaggi, non viene considerata neppure come opzione. Eppure, dato che suggerite che
le scelte di consumo individuali possono influire significativamente su problemi come la pesca del tonno, dobbiamo fare notare che il rifiuto di mangiare animali avrebbe un impatto decisamente più consistente su tale problema, oggetto della Vostra campagna.

Il fatto che Greenpeace sia un'organizzazione che opera a livello planetario non giustifica le Vostre posizioni evasive sulla questione politica dello sfruttamento animale. Nè il fatto che al polo nord non esista la possibilità di sopravvivere se non cacciando e pescando ci autorizza a fare altrettanto e a uscire di casa la mattina imbracciando un fucile o una canna da pesca per procurarci il cibo, magari vestiti di pelli e pellicce.
E' nostro obbligo, in quanto agenti morali, preferire le pratiche che riducono quanto più possibile il danno ad altri, siano essi umani, che nonumani.
Ecco perchè non consumare animali è un obbligo etico e non una banale scelta dietetica.

Nessuno, nè tanto meno un'organizzazione come la Vostra, che dall'opinione pubblica viene considerata come portatrice di alti valori morali, dovrebbe esimersi dal confrontarsi con la realtà dello sfruttamento animale, esponendosi pubblicamente e in modo chiaro.

Confidando in un ripensamento per una riformulazione della campagna in oggetto, salutiamo.

BioViolenza

martedì 22 novembre 2011

GreenPeace: quando la mattanza dei tonni è “sostenibile”...


Qualche giorno fa, Greenpeace ha pubblicato un sondaggio dal titolo inquietante "Tonno in trappola!" (http://www.greenpeace.it/tonnointrappola/sondaggio/) sul "tonno sostenibile", dove vengono poste quattro domande, capolavori di ipocrisia, dove GreenPeace non viene neanche sfiorata dall'idea che l'unico "tonno sostenibile" sia il tonno vivo, libero e che abita nelle profondità marine.
Desideriamo esprimere sdegno riguardo al sondaggio da voi proposto, in quanto lo stesso non contiene l'opzione antispecista che ha condotto molte persone a non consumare i corpi degli animali ed i prodotti dello sfruttamento animale.
Dare per scontato che tutti i partecipanti al vostro sondaggio si cibino delle spoglie degli animali offusca quell'idea di rinnovamento etico-culturale del quale l'opinione pubblica vi ritiene portatori.

Una sparuta minoranza vi risponderà che cerca un prodotto "sostenibile" e questa minoranza è composta da chi economicamente può' permettersi di spendere un po' di più e sentirsi con la “coscienza pulita” per aver salvato tartarughe e squali, e rassicurata dal mangiare in modo “sano”.
Ma vi rendete conto del danno che procurate con questo sondaggio? Vi rendete conto che la nonviolenza di cui vi ammantate e' un valore che include ogni essere vivente?

Perché scrivete nella vs. missione (http://www.greenpeace.org/italy/it/chisiamo/Missione/) che siete nonviolenti e che vi autofinanziate per non essere in balia di qualsivoglia realtà economica e/o politica, quando diventate voi stessi strumenti di liceità della nuova frontiera del business biologico che prevede l'uccisione di esseri senzienti?
Vi definite ambientalisti. L'ambiente é costituito da un ecosistema che deve essere rispettato e all'interno del quale ogni singola specie ha il suo motivo d'esistere. Allora ci domandiamo, Greenpeace ha qualche canale privilegiato con l'habitat e quindi stabilisce chi può vivere e chi morire? Ma non e' l'ecosistema che provvede a ciò e non una delle tante specie esistenti al suo interno, ossia l'animale umano?
Vi esortiamo ad abbandonare questo sondaggio, perché, lo ribadiamo, fa gli interessi di una sola realtà, quella della produzione industriale, che coadiuvate, come call-center, invitandola a modificare il tipo di produzione di cadaveri (bio-sostenibili naturalmente) per venderne di più e non per denunciare questa stessa mattanza.
Vediamo gravi incongruenze con la missione da voi stessi stilata e, per correttezza, vi invitiamo a rivedere la vostra posizione o a contestualizzare i concetti di nonviolenza e rispetto (specisti) da voi sottoscritti.
Dite che la vostra speranza che “tutti gli animali debbano avere un futuro” per voi significa che “tutte le specie di animali debbano avere un futuro”? Perché qui occorre intendersi con le parole. Tantissime persone pensano, sbagliando, che voi abbiate a cuore i singoli individui animali, la loro sofferenza, il loro benessere. Dovete spiegare per bene, chiaramente e senza mezzi termini, che non è così, che a voi interessa solo che tra 100 o 1000 anni ci siano ancora sia qualche tartaruga che qualche squalo che qualche tonno… ovviamente solo perché gli uomini di domani possano avere un po’ di biodiversità da gustarsi.

Il fatto che l’alimentazione non sia per voi un fattore discriminante è proprio il segno dell’ambiguità della vostra posizione. Che da voi ci siano vegetariani, vegani, onnivori non è di per sé rilevante.

La cosa grave è che come associazione non abbiate le idee chiare sull’argomento e che pensiate che il non cibarsi di animali sia una semplice scelta individuale e non una presa di posizione politica rispetto allo sfruttamento degli altri animali.

Con dispiacere dobbiamo riconoscere quanto le istanze ecologiste da voi avanzate siano distanti da quelle conquiste civili che solo una coerente impostazione etica potrà determinare.

Saluti
BioViolenza


ALLORA DICIAMOGLI COSA NE PENSIAMO!

Se volete scrivere a GreenPeace cosa ne pensate del loro modo di difendere l'ambiente e gli animali ispirandosi ai principi della nonviolenza (vedi pagina "chi siamo: mission" ), potete farlo ai seguenti indirizzi email:

Per informazioni generali: info.it@greenpeace.org
Per contattare l'ufficio stampa: ufficio.stampa.it@greenpeace.org
Per contattare il servizio sostenitori: sostenitori.it@greenpeace.org
Per contattare il dialogo diretto: barbara.amati@greenpeace.org

lunedì 12 settembre 2011

Asti 18/9/2011 - presidio contro lo sfruttamento dei cavalli al Palio.

Asti 18/9/2011 - presidio contro lo sfruttamento dei cavalli al Palio.
In via Vittorio Alfieri 208 (fronte portici rossi) - 14.00-18.30

E' organizzato un presidio di protesta contro lo sfruttamento dei cavalli usati nelle pubbliche manifestazioni.
L'invito è esteso a tutti coloro che vogliono dare forza alle azioni a difesa dei cavalli, per gridare sempre più forte il nostro dissenso a questi anacronistici e barbari "spettacoli". PARTECIPIAMO NUMEROSI!
http://www.facebook.com/event.php?eid=190396474322460

sabato 2 luglio 2011

Risposta di BioViolenza alla lettera di Susanna Tamaro "Ci trasmettono intimità anche se noi li abbiamo trattati con efferatezza"

Leggi qui la Lettera di S. Tamaro>>

Cara sig.ra Tamaro,

le emozioni che suscita la lettura del suo racconto per il convegno “La coscienza degli animali” (apparso in anteprima sul Corriere della sera di oggi) sono davvero forti e vere.
Anche chi è giovane e vive nel cuore di una grande città ha sicuramente visto nella sua vita qualche camion stipato di condannati a morte. La pianura padana, le grandi strade provinciali, le autostrade, specie nelle ore buie, sono percorse dall’indifferenza assordante dei grossi tir che ritmano il primo e ultimo viaggio di questi dannati.



Chiunque ha intravisto tra le sbarre le grosse narici umide delle mucche, il grugno rassegnato o ribelle dei maiali o le penne e gli occhietti inquieti e curiosi delle galline. Solo chi è cieco nel cuore, morto insieme alla sua umanità, non si è mai soffermato neppure un momento a sprecare un pensiero per quegli schiavi, nati per morire, cresciuti nella noia e nel terrore, ridotti a merce perché a noi umani piace il sapore del loro corpo. E non occorre essere vegetariani per toccare con mano la sofferenza. Non occorre essere particolarmente sensibili per sapere che questa violenza è ignobile perché esercitata su esseri che non si possono neppure rendere conto del perché e del come dell’ingiustizia con cui marchiamo le loro carni e la loro vita. Ma è un tacito accordo: occorre non pensarci, non soffermarsi troppo col pensiero perché altrimenti quei “martiri” (peccato che il martire umano scelga il proprio infelice destino, gli animali no) si trasformano in incubi, in pensiero ossessivo, in una tremenda ingiustizia e iniziano a ingombrare troppo la nostra testa e iniziano a fare pressione, a voler essere presi in troppo seria considerazione. Allora qualcuno diventa vegetariano ma qualcun altro non si accontenta di non mangiare carne e vuole che agli animali venga ridata la dignità per la loro vita rubata. E se questo succede (e grazie al cielo succede e succede sempre più spesso e a sempre più persone) allora gli animali iniziano ad avere dei complici, qualcuno che non sopporta più di vederli schiavi, qualcuno che decide che il loro destino è insopportabile, che la loro vita è tremenda, che la loro vita deve essere riscattata.

Il suo racconto colpisce al cuore e resuscita le emozioni profonde, solitamente sepolte nell’infanzia, della compassione e dell’empatia. Gli animali che tante emozioni ci regalano da bambini, con l’età si trasformano prima in fantasmi e poi in esseri inferiori. Così irrimediabilmente inferiori che, quando siamo cresciuti e abbiamo i soldi per decidere cosa comprare da mangiare, si sono magicamente già trasformati insieme con la nostra cattiva coscienza collettiva, in cibo, oggetti, merce. Di loro ci resta qualche ricordo e magari un “esemplare da compagnia” che ci consola di tutta la brutalità che esercitiamo sugli altri.

Ma la campagna bucolica del vecchio contadino non è la cura per l’incubo.

Non era in quei cortili (così di moda oggi) che si scannava il maiale?

Non era in quelle assolate aie che il nonno appendeva i conigli dopo averli bastonati in testa?

Non era da quelle porticine discrete che la zia chiamava la gallina preferita e la uccideva a tradimento dopo averle dato un’ultima carezza? Non era da quelle stalle odorose e calde che si sentiva la mucca piangere per giorni quando le si portava via il vitellino? Sì, la mucca dei nonni aveva un nome, ma anche ai migliori schiavi veniva dato un nome.

Perché al posto dell’incubo vogliamo sostituire un sogno mediocre?

Perché rinunciare, ancor prima di averci sperato, ad un mondo senza più schiavi?

Perché accontentarsi di rendere più sopportabile la schiavitù, invece che bandirla definitivamente dai nostri pensieri, dai nostri cuori e dalle nostre azioni?

Se vogliamo svegliarci dall’orribile incubo in cui viviamo noi umani e in cui obblighiamo gli animali “addomesticati”, allora iniziamo a immaginare una società liberata in cui nessuno asservisca nessuno, in cui chi nasce abbia diritto a sperare di morire di vecchiaia o di malattia e non assassinato con distaccata premeditazione.

Se possiamo ancora sognare, sogniamo in grande e non accontentiamoci di altrettanto utopistiche vie di mezzo che non possono soddisfare né chi vuole mangiare carne né chi aspetta di essere liberato davvero. La violenza “sostenibile” fatta alla mucca che muccheggia o che vive secondo la propria mucchità lasciamola alle coscienze addomesticate di chi ancora spera di avere la botte piena e il marito (o la moglie) ubriaco. Per noi e gli altri animali vogliamo ben altro.

Progetto BioViolenza


lunedì 27 giugno 2011

Tg1 26/06/2011- GALLINE OVAIOLE, ALLEVAMENTI DISCUSSI

servizio di Roberta Badaloni



R.B. Galline ovaiole in batterie intensive. Sono 400 milioni in Europa. La legge fissa i parametri: attualmente, 5 animali per ogni gabbia, che e' un quadrato con lati di 23,5 cm.; regole su cui animalisti e allevatori si scontrano da sempre.

La parola a Anna Maldini- Presidente Assoavi:
Quando siamo partiti con le galline in batteria,la selezione dei genetisti e' stata fatta per una gallina che poteva benissimo vivere stando anche immobile, diciamo, immobile per modo di dire, perche' si muove, eh, quella gallina!

Roberto Bennati - Vice Presidente della LAV :
Le galline non possono aprire le ali, gli viene mutilato il becco con una lama rovente e soffrono di fragilita' ossea. Sono delle vere e proprie macchine animali.

R.B. File di gabbie al chiuso, fino a sei piani per 2 anni di vita, li troviamo in penombra e per farli rilassare, ci spiegano, c'e' un problema: il cannibalismo,dovuto alla vicinanza, e per questo vengono sbeccate e intanto gia' dal prossimo gennaio scade il termine per adeguarsi alla direttiva europea del '99. Ci vorranno gabbie un po' piu' grandi ma i costi, ci spiegano, sono immensi.

Anna Maldini: La maggior parte degli allevatori togliera' 2-3 galline, per dare piu' spazio alle galline, poi nel tempo ristrutturera' anche gli allevamenti.

R.B. Ma la legge pero' non e' che parla solo di spazi, prevede anche degli accessori...

Anna Maldini: prevede anche degli accessori, giustamente. L'allevatore, con tanti sacrifici, si impegnera' per mettersi in regola con queste nuove leggi...

Roberto Bennati: Dopo 13 anni di condanna da parte dell'Europa, chiediamo che i cittadini non siano ingannati con uova illegali dal gennaio 2012.

R.B. Il sistema intensivo nasceva 50 anni fa': piu' produzione meno costi,con un prezzo non quantificabile: la liberta'... e sono gli animali a pagarli!

Anna Maldini: Fanno le uova tutti i giorni non ci sono problemi sanitari, secondo me,... e' etico

(n.d.a. : abbiamo trascritto il servizio. Non ci sono commenti da aggiungere; i dati e le condizioni di questi poveri esseri viventi si commentano da soli)

sabato 25 giugno 2011

24 giugno 2011 - Contestazione FIERA DEL BESTIAME di MONZA

COMUNICATO STAMPA

24 giugno 2011 - Contestazione FIERA DEL BESTIAME di MONZA

Quest’anno l’associazione animalista Oltre la specie ha deciso di contestare in modo diverso dal solito la Fiera del bestiame. La mattina, durante la premiazione degli allevatori, alla presenza delle autorità sanitarie, degli addetti ai lavori, dei giornalisti e del pubblico, Oltre la specie ha consegnato all’ Assessore Gargantini, quale rappresentante della Giunta Comunale, una “TARGA al DEMERITO” per aver patrocinato e supportato la manifestazione cittadina più disonorevole e crudele dell’anno. Insieme alla targa è stata consegnata anche una grossa coppa sporca di sangue con scritto “Città di Monza – Premio Crudeltà”.

Ecco il video della “premiazione” , anche su You Tube.



volantino consegnato a monzaPrima e dopo i fuochi d’artificio serali, all’ingresso di Porta Monza, gli attivisti hanno proiettato spezzoni di filmati in cui si mostra il destino degli animali da reddito e distribuito qualche migliaio di volantini per sensibilizzare la cittadinanza sulle crudeltà della fiera. L’associazione Oltre la specie da anni organizza volantinaggi, contestazioni, presidi e azioni varie contro questa fiera. Esporre animali condannati a morte programmata per il divertimenti del pubblico è una scelta di inciviltà e solo una amministrazione miope può ignorare la sensibilità crescente per gli animali della cittadinanza monzese. Oltre la specie ha anche proposto un progetto alternativo per sostituire la fiera del bestiame con una manifestazione cruelty-free che da un lato accontenti l’interesse dei bambini per gli animali, dall’altro sia rispettosa dell’integrità e degli animali stessi. L’amministrazione, pur di tenere fede ad un’idea obsoleta di “tradizione” non ha mai voluto prendere in considerazione il progetto.

Per ulteriori info: 335-8376756

www.oltrelaspecie.org

http://oltrelaspecie.blogspot.com/

e pagina FB: OLTRE LA SPECIE

giovedì 23 giugno 2011

Chi sta dalla parte degli oppressi fa sempre paura. Comunicato di solidarietà con gli attivisti animalisti spagnoli arrestati nei giorni scorsi

BioViolenza si associa al messaggio di solidarieta' scritto da OLS agli attivisti spagnoli.

E' di questi giorni la notizia degli arresti di 12 attivisti e attiviste di Igualdad Animal e Equanimal, associazioni animaliste spagnole distintesi in questi anni per le campagne di sensibilizzazione e di denuncia della schiavitù degli animali non umani.
Le vicende di questi giorni ricordano da vicino quanto accaduto al movimento animalista austriaco, colpito da accuse pesanti e carcerazioni preventive lunghissime.
Al di là delle specifiche accuse, è evidente che lo Stato spagnolo intende con questa manovra repressiva colpire delle persone che si sono esposte in prima persona per dare voce a chi non ce l'ha: miliardi di mucche, polli, pesci, conigli, milioni di visoni, cincillà, animali da pelliccia, da carne, cavie da laboratorio che vengono incarcerati, torturati, macellati in tutti i paesi del mondo ogni minuto che passa. Dire apertamente - come hanno fatto questi attivisti - che lo sfruttamento degli animali va semplicemente abolito contrasta con interessi diffusi: dai profitti miliardari di interi settori produttivi alla difesa del privilegio che gli umani sentono di meritare in quanto appartenenti alla specie più forte. Dichiararsi apertamente solidali con chi ha aperto delle gabbie per farne uscire i prigionieri è - per le istituzioni spagnole - già di per sè un crimine da punire.
Interessante schizofrenia delle nostre società "progredite": quando dichiariamo che noi non mangiamo carne, latte e uova, o che non vogliamo indossare pelle, pellicce, sfruttare animali, la società a gran voce pretende che si tratti al massimo di un'opinione, tollerabile in quanto tale ed equivalente all'opinione opposta; quando questa "opinione" si mostra nell'arena sociale senza troppa soggezione, ecco allora che viene considerata azione a tutti gli effetti, possibile oggetto - dunque - della repressione poliziesca.
La nostra quotidiana solidarietà con gli animali rinchiusi nei lager si esprime, in questi giorni, in forma di solidarietà con gli attivisti spagnoli e con tutti gli attivisti per la liberazione animale colpiti da delle istituzioni pronte ad intervenire per difendere il privilegio.

Invitiamo tutti a dar vita ad iniziative di solidarietà concreta anche dall'Italia, iniziando dalla partecipazione alle mobilitazioni che si svolgeranno in questi giorni davanti alle sedi diplomatiche spagnole.

Oltre la Specie onlus - www.oltrelaspecie.org
Progetto BioViolenza
Veggie Pride Italia - www.veggiepride.it


Comunicato di Igualdad Animal sul sito: http://www.igualdadanimal.org/

Di seguito traduzione italiana:
In questo momento stiamo attendendo aggiornamenti dal nostro avvocato che sta andando a Santiago de Compostela per saperne di più riguardo alla situazione degli attivisti arrestati stamane.

Sara Lago, un'attivista di Equanimal, nel frattempo, è stata interrogata dalla polizia a Pontevedra e si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Tra oggi e domani verrà trasferita alla procura di Santiago de Compostela. Ulteriori notizie seguiranno.

Stiamo preparando una giornata internazionale di solidarietà per gli attivisti spagnoli il 24 giugno, fuori dalle ambasciate. Più informazioni e il volantino saranno presto disponibili.


22/06/11 - COMUNICATO UFFICIALE RIGUARDO AI 12 ATTIVISTI PER I DIRITTI ANIMALI ARRESTATI IN SPAGNA E APPELLO PER VENERDI' 24 GIUGNO COME GIORNATA INTERNAZIONALE DI SOLIDARIETA'

Dodici attivisti per i diritti animali sono stati arrestati questa mattina dalla polizia spagnola, con una serie di irruzioni promosse dal giudice magistrato incaricato delle indagini a Santiago de Compostela, in Galizia (Spagna).

Arresti e perquisizioni sono avvenute nelle case di attivisti delle organizzazioni Igualdad Animal/Animal Equality ed Equanimal nelle zone di Madrid, Asturia, Vizcaya e Galizia. Quelli arrestati sono stati portati a Santiago de Compostela, dove sono state formulate le accuse di reati contro l'ambiente, disordine pubblico e associazione a delinquere.

Il punto di partenza delle indagini sembrerebbe essere la liberazione di circa 20.000 visoni avvenuta nell'allevamento Visones Bermudez, a Santiago de Compostela, nel novembre del 2007.

In base a questo è stato formulato il reato di danno all'ambiente.

Entrambe le organizzazioni hanno condannato pubblicamente la privazione della libertà, la tortura e il massacro di circa 300.000 visoni ogni anno in Spagna. Questi arresti rappresentano un chiaro attacco dell'industria della pelliccia agli attivisti animalisti per aver esposto gli orrori della pratica degli animali uccisi con il gas, le mutilazioni, la sofferenza indotta dal vivere in cattività negli allevamenti.

Questo due organizzazioni che definiscono chiaramente il loro attivismo come non-violento e che dedicano i loro sforzi per far aumentare l'attenzione pubblica sui diritti animali, informando la società sulle conseguenze del consumo di prodotti animali e la promozione di valide alternative. Inoltre, nonostante le organizzazioni non siano coinvolte nelle liberazioni di visoni, non condannano questo tipo di azioni poichè difendono gli interessi di tutti gli animali indipendentemente dalla specie e nessuno dei visoni sfruttati dall'industria pelliccia merita di vivere e morire in un allevamento.

Poichè non ci sono responsabili per le recenti liberazioni di visoni avvenute in Spagna, diversi membri di Equanimal e Igualdad Animal/Animal Equality sono stati arrestati con l'intento di criminalizzare il movimento per i diritti animali in Spagna, così come già accaduto in altre nazioni.

Le 'lobbies' dello sfruttamento animale e le potenti multinazionali vogliono ostacolare il movimento animalista spagnolo e ciò che a cui stiamo assistendo è repressione.

Equanimal e Igualdad Animal/Animal Equality terranno due conferenze in contemporanea oggi 22/06/11 alle 20.00 a Madrid e Barcellona, in maniera tale da leggere un comunicato in risposta agli arresti dei dodici attivisti.

Domani, giovedì 23 giugno, proteste pacifiche si terranno a Madrid e Barcellona, per dar possibilità a chiunque è contrario a questi arresti di mostrare il proprio sdegno verso ciò che è accaduto e dare solidarietà agli attivisti detenuti.

Per venerdi' 24 giugno lanciamo un appello per una giornata internazionale di solidarietà per gli attivisti spagnoli.


Per favore prendete in considerazione una protesta di fronte alle ambasciate spagnole e nel centro della città venerdì 24 giugno per supportare gli attivisti!

Qui c'è una lista completa di ambasciate e consolati spagnoli:
http://www.offshorewave.com/embassies_show.php?country_id=193


Per favore mandate resoconti e foto a info@animalequality.net, in modo tale da pubblicarle sul nostro sito. Il supporto internazionale è estremamente importante per le vittime della repressione. Mostrate la vostra solidarietà, scendete in strada!

Presto sarà disponibile il sito web di supporto per le persone arrestate.

lunedì 6 giugno 2011

Tg1 5 giugno '11 - Inchiesta su allevamenti intensivi con OLS: I POLLI

Ecco il secondo servizio che abbiamo realizzato con il TG1.

il 5 giugno al TG1 delle 20.00 è andato in onda un servizio di Roberta Badaloni sugli allevamenti intensivi di polli.

Oltre la specie ha collaborato all’investigazione che potete vedere.

Ricordiamo a tutti coloro che volessero seguire più da vicino le attività di OLS di visitare spesso il sito , il blog e la nostra pagina Facebook


lunedì 30 maggio 2011

foto contestazione slow fish

GEAPRESS:Primo resoconto della contestazione a Slow Fish 2011

alcuni attivisti simulano la morte dei pesci per soffocamento e schiacciamento nella rete

Slow fish – la manifestazione … contro

GEAPRESS – Imprigionati nelle reti da pesca, senza possibilità di scampo in una lunga agonia, così gli attivisti del Progetto “BioViolenza” hanno rappresentato davanti agli ingressi della Fiera di Genova, dove si tiene la kermesse Slow Fish, la loro denuncia verso le crudeltà inflitte agli abitanti dei mari....
....Un centinaio di animalisti e antispecisti provenienti anche da Milano, Brescia, Pisa, e Piemonte hanno così contestato quella che vuole essere l’evento dedicato alla pesca “sostenibile” legata all’organizzazione di Slow Food e sostenuta dalla regione Liguria. segue>>



i veri protagionisti della kermesse...morti!Genova: slow fish o slow death?


Kermesse sulla pesca "sostenibile": Carlo Petrini apre agli animalisti, ma negli stand solito macabro campionario.


GEAPRESS – Aperta oggi la quinta edizione di Slow Fish presso la Fiera di Genova, fino a lunedì 30 la manifestazione voluta da Slow Food ed enti locali liguri per promuovere la pesca non industriale ma legata alle tradizioni locali.

Gli animalisti di BioViolenza vogliono però mettere sotto i riflettori la sofferenza silenziosa degli abitanti dei mari, milioni di pesci, crostacei e molluschi vittime anche delle pesche tradizionali, oltretutto anche loro complici del depauperamento dei mari ormai accertato anche dagli organismi internazionali indipendenti. segue>>

(fonte GEAPRESS )

sabato 28 maggio 2011

Cruelty free web radio: Genova, domani presidio contro SlowFish


Slow Food è un'associazione no-profit che attualmente conta circa 100 000 iscritti con sedi in Italia, Germania, Svizzera, Stati Uniti, Francia, Giappone, Regno Unito e aderenti in 130 paesi.

Nasce dalla voglia di promuovere stili di vita lontani dai modelli consumistici che ci vengono normalmente propinati; la sua filosofia è promuovere un'alimentazione sana, rispettando i ritmi delle stagioni, salvaguardando le tradizioni enogastronomiche locali, imparando a riconoscere e a dare importanza ai luoghi di produzione dei cibi che mangiamo, difendendo le specie autoctone e in via di estinzione.....Nasce, dunque, la fiera SlowFish che mira a tutelare le risorse marine e a salvaguardare appunto un mestiere che da queste risorse dipende.Dunque, ricapitolando pesca gusto, divertimento e reddito.

Ma chi sono i protagonisti assoluti (loro malgrado) di questa fiera? Gli chef? I pescatori? I visitatori?

No! I protagonisti inconsapevoli sono i pesci e tutti gli altri abitanti dei mari, laghi e fiumi, i più dimenticati, i più ignorati e i più indifferenti tra gli animali, spesso non considerati anche da coloro che si definiscono animalisti.

Messi in palio o ceduti in premio in occasione di pesche, lotterie, tiri a segno, maltrattati nei negozi di animali, nei ristoranti o nelle pescherie, i pesci, come molti altri animali, sono considerati oggetti inanimati di cui l'uomo può disporre a proprio piacimento. Per rendersi conto di quanto questi esseri subiscano nel quotidiano continui maltrattamenti, basta munirsi di un regolamento comunale per la tutela degli animali ove previsto o della legge 189/2004 per rendersi conto che la maggior parte dei negozi che vendono pesci, li detengono senza rispettare le loro caratteristiche etologiche, le dimensioni degli acquari e i sistemi di depurazione, oppure è sufficiente entrare in un ristorante per accorgersi che i crostacei hanno le chele permanentemente legate o ancora possiamo notare che la maggior parte delle pescherie li adagiano sul ghiaccio vivi ovviamente e per di più con le chele legate. segue>>

lunedì 23 maggio 2011

MOBILITIAMOCI: PRESIDIO CONTRO SLOWFISH

sulla terra si chiama sterminio- in mare si chiama pesca
QUANDO LA MORTE NON FA RUMORE: L’OLOCAUSTO DEI PESCI
PRESIDIO CONTRO SLOWFISH - GENOVA, DOMENICA 29 MAGGIO .

Gli attivisti del progetto BioViolenza hanno indetto un presidio nel quadro delle iniziative di contestazione alla fiera "SlowFish", che si svolgera' a Genova dal 27 al 30 maggio, giorni in cui i pescatori di Slow Food, con il patrocinio della Regione Liguria, esibiranno il massacro dei pesci a cittadini e scolaresche da tutta Italia.

GENOVA, DOMENICA 29 MAGGIO - FIERA (P.LE KENNEDY) - h. 10.30

E' piu' che mai necessario che il dolore di queste vittime trovi voce: prepariamo una mobilitazione da tutto il paese per gridare il nostro sdegno!

Sono previsti per ora pullman da Milano e Torino.

-Il pullman da Milano partirà alle 8.30 da piazzale Cadorna,con rientro a Milano Cadorna entro le 22.30.
Il costo massimo a persona è di 17 euro.
Per prenotazioni e pagamento quota (entro il 22/5): bioviolenza@gmail.com – tel. 335-8376756

-Per informazioni sul pullman da Torino (e Ivrea): carmagnola085@gmail.com

Chi volesse organizzare pullman da altre citta' e' pregato di comunicarlo prima possibile a: bioviolenza@gmail.com .


Per informazioni sul progetto BioViolenza: bioviolenza@gmail.com


Oltre la specie: Risposta a FederFauna sul servizio del TG1



Quella che segue è una risposta di OLS a FederFauna, nello specifico a
questo articolo>>

Scriviamo questa lettera a nome di Oltre la Specie, in merito alla contestazione di FederFauna al servizio “Allevamenti da incubo” mandato in onda dal Tg1 del 20 Maggio 2011.

La principale preoccupazione di FederFauna, di fronte ad un servizio sugli allevamenti andato in onda in prima serata su RaiUno, sembra essere quella della “par condicio” mediatica riguardo al tema in questione.

Pare molto scandaloso - a costoro - che per fare un servizio sullo sfruttamento animale ci si sia affidati a degli animalisti, un po’ come ci si potrebbe scandalizzare se di cervelli parlassero i neurologi.

Quando si tratta di animali sfruttati per la loro carne, per il loro latte o per qualche altro redditizio prodotto, due sono essenzialmente le parti in causa: gli allevatori e gli animali.

Nelle varie occasioni in cui il tema viene affrontato sui mezzi di comunicazione di massa, è notoriamente raro che il punto di vista degli animali emerga, anche solo in forma di “contraddittorio” espresso da singoli o associazioni animaliste. Intere puntate di trasmissioni rivolte ai consumatori italiani si prodigano nel mostrare la bontà degli allevamenti nostrani, intervistando mungitori, macellai, proprietari di aziende agricole, rappresentanti di categoria, senza mai mettere in dubbio la legittimità del loro operato, senza mai domandarsi se chi viene munto e mandato al mattatoio sia della stessa opinione.

Non dubitiamo del fatto che molti dei dati presentati da allevatori e zootecnici possano essere formalmente corretti: in alcune aziende gli animali “godono” di spazi un po’ più ampi, in alcune mangiano foraggio biologico, in altre gli animali vengono lasciati in vita qualche settimana in più, in altre ancora il latte delle mucche viene in parte conservato per i figli che sono stati loro tolti alla nascita. Tuttavia, nessuno pone le domande fondamentali: che diritto abbiamo di disporre della vita di esseri in grado di gioire e soffrire esattamente come noi? Che diritto abbiamo di segregarli, inseminarli a forza, separarli dai genitori, mutilarli, riempirli di farmaci e infine mandarli al macello quando cominciano a rappresentare un costo eccessivo? "Non hanno forse organi, membra, sensi, affetti, passioni? Se li pungiamo non sanguinano? Non muoiono se li avveleniamo?"

Di fronte a queste domande, la par condicio è violata apertamente ogni giorno, su ogni canale televisivo, ogni stazione radio, ogni quotidiano.

Pensando a quegli animali – esseri in grado di soffrire - sfruttati fino alla morte, non possiamo sinceramente trovare alcuna scorrettezza in un servizio che ha finalmente detto le cose come stanno, lasciando agli spettatori la possibilità di riflettere autonomamente, ridando voce – attraverso gli animalisti – a coloro che sono stati esclusi dalla considerazione morale. Siamo certi che la voce di chi trae profitto da queste vite e da queste sofferenze avrà ampio spazio per ribattere al punto di vista degli animali, a partire da domani.

Arriverà mai un giorno in cui ogni volta che qualcuno pubblica o trasmette l’apologia di queste attività, in cui ogni volta che qualcuno denigra a mezzo stampa chi ha scelto di non mangiare carne, latte e uova, in cui ogni volta che qualcuno sminuisce la dignità degli animali e delle lotte in loro difesa, sarà data possibilità di replica agli animalisti, anzi ormai usiamo il termine corretto: agli antispecisti? Se mai questo tempo arriverà, saremo ben lieti di offrire altrettanto spazio a chi gli animali li sfrutta, per provare ad argomentare a favore della schiavitù animale.

Due altre cose vorremmo però sottolineare per completare la nostra risposta a FederFauna.

Il comunicato stampa afferma quanto segue: “Qualsiasi produzione animale è garantita essenzialmente dal benessere, dalla salute e da un’appropriata alimentazione degli animali”. È evidente che abbiamo visioni diverse del concetto di benessere, e forse anche di salute. Nel caso specifico, dobbiamo dedurre che per FederFauna il benessere di un vitello è compatibile con la separazione dalla madre alla nascita, o con la sua reclusione in un box in cui riesce a malapena a girarsi su se stesso. Speriamo solo che non intendano applicare il loro concetto di benessere anche agli umani: nessuno può essere così cinico da giustificare – in nome della produttività o della qualità di una produzione – la separazione di un bambino dalla madre e la sua reclusione in una gabbietta. E nessuno potrebbe essere poi così impudente da far notare che in fondo al figlio viene dato proprio il latte della madre che non vedrà mai più.

Inoltre, nel comunicato si legge: “Persone che rappresentano solo se stessi, quali sono gli animalisti, hanno potuto veicolare il loro punto di vista a danno dell’allevamento italiano, ad un pubblico di Cittadini che vuole sicuramente bene agli animali, ma che per la stragrande maggioranza il latte lo beve e la carne la mangia”. A prescindere dal fatto che probabilmente la maggior parte dei consumatori umani mangia animali e loro prodotti anche perché non ha mai avuto modo di vedere da dove realmente provengano tali prelibatezze, ci permettiamo di dissentire su questo concetto di rappresentanza, in cui è contenuta tutta la millenaria arroganza del genere umano. No, noi animalisti non rappresentiamo noi stessi o i nostri interessi, come invece è palesemente il caso di FederFauna. Al contrario, ci sforziamo di rappresentare gli interessi di tutti quegli individui che non appartengono alla nostra specie, ma che sono – tuttavia – molto più numerosi dei consumatori stessi: centinaia di milioni di animali solo in Italia, rinchiusi ed uccisi, animali che se potessero non ci penserebbero due volte a battersi per l’abolizione totale di ogni allevamento e di ogni mattatoio. Sono, e devono essere gli animalisti a preoccuparsi degli animali. Perché? Perché sono gli unici che hanno prestato gli occhi agli animali per piangere, e la bocca per esprimere liberamente il loro dissenso al morire.

Ma poi, vorreste che fossero i sorveglianti a descrivervi la realtà dei campi di concentramento? Potrebbero mai loro raccontare obiettivamente l’orrore che lì ha luogo? Un carnefice potrebbe mai raccontare con obiettività e con sguardo compassionevole la crudele, violenta e dolorosa fine a cui condanna le proprie vittime? Chi compie atti disumani e crudeli su altri individui, senza alcun rimorso di coscienza o senza averne reale consapevolezza, potrà mai renderne conto con obiettività? Ma in generale, vorreste mai sentire un’unica campana, magari la più interessata dal punto di vista economico, su argomenti di importanza vitale per voi stessi e la società?

Questa è la pretesa degli allevatori: essere l’unica voce a raccontare la realtà degli allevamenti. Pretendono che i recinti in cui rinchiudono gli animali, ingozzandoli per farli crescere oltre misura e velocemente per portarli il prima possibile al patibolo, siano silenziosi e inaccessibili per secretare l’orrore di ciò che avviene al loro interno e rendere invisibile alle coscienze dei consumatori l’urlo di disperazione che proviene da ognuna di quelle vittime a cui è impedito di godere la vita e la libertà che sono loro proprie.

Gli allevatori, probabilmente per generazioni, hanno zittito le proprie coscienze, si sono abituati alla violenza tanto da poterla praticare quotidianamente come fosse la cosa più normale al mondo, si sono resi sordi e ciechi agli sguardi e alle urla di terrore degli animali imprigionati negli allevamenti. E pretendono che ognuno di noi faccia la stessa cosa, pretendono che la sensibilità che è in noi soccomba per poter continuare ad uccidere, boccone dopo boccone, miliardi di vite animali. Pretendono che l’abitudine alla violenza, assopendo le nostre coscienze, ci renda dei carnefici inconsapevoli. Possiamo permettere che la nostra umanità, il senso di pietà e la compassione, che ci distinguono da loro, soccombano davanti agli interessi economici di un gruppo molto ristretto di individui e già ampiamente sovvenzionato dalle istituzioni con le nostre tasse? Vogliamo che sia il denaro il valore fondante la nostra società, o vogliamo che lo siano la giustizia, la libertà, il rispetto per la vita, per tutte quelle vite animali i cui corpi sono quotidianamente segregati, straziati, smembrati, ridotti a brandelli insieme alle nostre coscienze e alla nostra umanità? Null’altro che questo chiedono gli animalisti e gli antispecisti: che si inizi a guardare con compassione e rispetto al nostro rapporto con gli animali; che si dia agli animali la possibilità di dirci quanto amano la vita e la libertà, e di vivere liberamente le loro vite, proprio come è dato ad ognuno di noi.

Nella prigionia, in qualunque forma di prigionia, non può esserci benessere. Nella negazione di una vita libera e piena non possono esserci amore e rispetto. Risulta ingenuo, o forse ipocrita, chi parla di benessere e amore per gli animali mentre li tiene in catene e all’ingrasso per poi mandarli, prima che giunga il loro tempo naturale, alla morte, ad una morte atroce, crudele, violenta.

Chi ha perso la capacità di avere compassione e pietà verso il dolore e la sofferenza degli altri, dei deboli, degli indifesi (come lo sono gli animali negli allevamenti), e, ancor più, chi ha zittito la propria coscienza a tal punto da poter compiere, senza scrupoli, azioni e lavori violenti e crudeli, ha bisogno di aiuto perché recuperi quell’umanità che ha smarrito. Egli stesso è vittima di un sistema economico e produttivo che obbliga alla disumanizzazione. È necessario che la società intera, ognuno di noi, si faccia carico di questo enorme problema. La “questione animale”, il modo in cui trattiamo gli animali non riguarda esclusivamente le vite degli animali, ma è fondamentale anche per comprendere chi siamo e chi, come specie e come società, vogliamo essere. È necessario iniziare a pensare, insieme, noi insieme agli animali, ad un mondo diverso dove prevalgano il rispetto per la vita e la libertà piuttosto che l’egoismo, l’arroganza e l’avidità. Questo è l’antispecismo che tanto spaventa FederFauna: la fine autentica di ogni forma di oppressione. Un mondo senza violenza possibile a partire da noi stessi, e dalla nostra testimonianza personale e militanza politica. Noi, questa speranza di un mondo migliore, la serbiamo anche per voi. E dunque prenderemo le vostre critiche, ancora una volta, come un monito ad andare avanti e a consentire, ai vostri nipoti di non vergognarsi per i loro nonni che sapevano ma restavano in silenzio. Che guardavano la morte degli altri animali e ne gioivano in cambio di un pasto succulento. Qualcosa di buono, in questo mondo c’è. Rifletteteci un po’ prima di rispondere d’impulso ogni qualvolta un cambiamento radicale vi si palesa davanti.

Oltre la specie

venerdì 13 maggio 2011

Articolo di un'attivista "contro slowfish"


Sono Ligure ma vivo poco fuori Milano. Mio papà per molti anni è stato cuoco nel ristorante di famiglia (dove le specialità erano tutte a base di pesce) e tra le tante cose che ricordo ce n'è una in particolare che mi ha sempre turbata: quando l’aragosta veniva messa viva in pentola e io sentivo urlare questo povero crostaceo… impotente, incredula, immatura mi allontanavo per non sentire più le urla, ma tutto questo mi rendeva profondamente triste…
Sono passati molti anni e io sono combiata, ho deciso che era giusto rispettare ogni essere vivente e ritengo che non siano da meno gli abitanti dei mari.
Proprio per questo insieme agli attivisti del progetto BioViolenza parteciperò al presidio (il 29 Maggio, Fiera P.le Kennedy) nel quadro delle iniziative di contestazione alla fiera “SlowFish” che si svolgerà a Genova dal 27 al 30 Maggio. segue>>

martedì 10 maggio 2011

"Liberazione": Slow Fish a Genova, pronta la contestazione

articolo su liberazione per mobilitazione a genova
di Alessandra Galbiati

Saranno in tanti, domenica 29 maggio a Genova, a contestare Slow Fish. Un’iniziativa che si preannuncia all’insegna della “sostenibilità” e delle antiche arti della pesca. L’evento è patrocinato da Comune, Provincia e Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ed è direttamente connesso a Slow Food.
Ci si può legittimamente domandare come mai gli animalisti si mobilitino contro una manifestazione che per molti versi promuove un cambiamento degli stili di vita più consumistici: un’alimentazione più sana, il rispetto degli equilibri dei mari, delle acque e della biodiversità, la difesa di categorie di lavoratori in pericolo di estinguersi (i pescatori), il ritorno ad antiche tradizioni culinarie e marinare, la difesa di specie autoctone o in via di estinzione.
Tra gli animali, i pesci e tutti gli altri abitanti dei mari, dei fiumi e dei laghi sono in assoluto i più ignorati. Non che la sofferenza degli altri animali da reddito importi molto, ma sicuramente è più facile pensare di poter uccidere e sventrare un pesce che non un maiale o un coniglio. Non trattandosi di mammiferi, non riuscendo minimamente a rapportarci a loro e conoscendoli quasi esclusivamente sotto forma di cibo, la loro vita ci è totalmente estranea. La sofferenza dei pesci è invisibile, inudibile e quindi, per molti, inesistente. L’agonia per asfissia dei pesci può essere lunghissima (fino a decine di ore), ma chiunque si sia fermato qualche minuto a osservare un placido e bonario pescatore sulla riva del fiume, sa che i salti e il boccheggiare di questi animali nel cestello appoggiato sull’erba non smuovono minimamente la compassione e l’empatia della persona in questione. Se si domanda qualcosa riguardo alla morte lentissima e crudelissima cui questo particolare tipo di cacciatore ha condannato le sue vittime, ci si sente rispondere in maniera fantasiosa: «Ma sono pesci, non sentono niente», «è lui che ha abboccato all’amo, mica io che l’ho rincorso», «se non lo pescavo io se lo mangiava comunque un pesce più grande».
Queste risposte, senza stare ad analizzarle, danno prova dell’umana arroganza rispetto agli altri animali e di quanto molti siano indifferenti verso gli animali considerati a loro volta inferiori tra gli inferiori. Un bravo pescatore libererà dalle reti del peschereccio il delfino o la tartaruga marina rimasta impigliata (sempre che siano ancora vivi). Non pescherà i tonni piccoli e le altre specie in via di estinzione. Metterà in atto tutti quegli atteggiamenti e accorgimenti di “rispetto” per preservare il mare da ulteriori devastazioni. Ma il fatto che questa attività implichi l’uccisione di altre vite non viene mai messo in discussione. E qui non stiamo parlando di un surfista che uccide un pescecane che lo sta attaccando o di popolazioni che se non mangiassero pesce morirebbero di fame. Stiamo parlando di cibo di lusso, da mangiare “poco ma buono”, servito da famosi chef nei ristori di Slow Fish con menù da 40 euro.
Tutta questa etica esibita sulle nuove bandiere della eco-compatibilità, della sostenibilità, del biologico, non prende mai in considerazione la sofferenza degli altri. Si deve prestare la massima attenzione soltanto a noi, al nostro benessere, al nostro paesaggio (terrestre o marino fa poca differenza), per preservarlo per i nostri figli e nipoti. Il nostro impegno si ferma qui, la nostra etica, purtroppo, anche.
Che i veri abitanti dei mari vengano sventrati a miliardi ogni anno (nessuno ha una stima neppure precisa del numero di pesci e crostacei uccisi nel mondo), che siano esattamente loro il vero “paesaggio” che si dovrebbe proteggere, che si possa cominciare a pensare ad una decrescita della violenza (oltre che dei consumi), sono pensieri ignoti ai teorici della sostenibilità. Al massimo si riesce a strappare qualche frase (e qualche regolamento) contro le forme più gravi di maltrattamento animale, ma questo solo per gli animali allevati, non certo per la sardina o il polpo sul tavolo della pescheria.
Già nei bambini, l’empatia nei confronti dei pesci è scoraggiata. Pesciolini rossi vengono regalati come fossero cioccolatini a feste e fiere. Pesciolini combattenti vengono tenuti in bicchieri da tavola e gli acquari o - peggio ancora - le bocce d’acqua, sono tra gli oggetti di “arredo” più diffusi nelle case italiane. Mentre quasi tutti i genitori inorridirebbero se il figlioletto imbracciasse un fucile e andasse a caccia di animali nel bosco, ben pochi si opporrebbero se il bimbo sedesse con una canna da pesca a cercare di uccidere pesci (spesso vengono anche organizzate gare di pesca per bambini e bambine).
I pesci occupano un posto particolare nell’immaginario. Da un lato ci fanno entrare, con la fantasia, in un mondo sconosciuto e affascinante, ma poi, quando si tratta di imprigionarli, ucciderli e mangiarli, allora tornano ad essere quelle cose di poco conto che a migliaia si espongono sulle bancarelle dei mercati. I pescherecci issano dal mare reti contenenti miliardi di animali che, nel migliore dei casi, muoiono schiacciati sotto il peso dei loro simili; nel peggiore, dopo ore di muta - ma non per questo meno reale - sofferenza.
La contestazione a Slow Fish è promossa dal neonato progetto “Bio-Violenza”: www.bioviolenza.blogspot.com. Il mercato, rispondendo alle istanze di maggiore consapevolezza del consumatore occidentale, da qualche anno ha iniziato a proporre prodotti più “etici” e in sintonia con la crescente sensibilità per i problemi ambientali. La carne “bio”, il latte e le uova “bio”, i formaggi “bio” sembrano formule magiche che fanno svanire per incanto (e perché il consumatore sensibile cerca proprio di acquietare i suoi sensi di colpa) le terribili condizioni di vita degli animali negli allevamenti. Cancellare - o illudersi di poterlo fare - la sofferenza brutale dell’allevamento industriale non significa per nulla, però, mettere in dubbio la violenza con cui condanniamo alla morte gli altri esseri viventi. Anzi, rincuorati dalle nostre presunte “buone intenzioni” diventiamo ancora più riluttanti a porci la domanda più importante: chi ci autorizza a uccidere senza necessità?

(fonte: www.liberazione.it)

sabato 7 maggio 2011

VEGANch’io, area feste del Comune di Vimercate (MB)

veganch'io

Dal 2 al 4 settembre presso l’area feste del Comune di Vimercate (MB), in via degli Atleti, si terrà la sesta edizione del festival antispecista VEGANch’io, organizzato da Oltre la Specie (www.oltrelaspecie.org) in collaborazione con Food not Bombs Romagna.
L’antispecismo considera immorale continuare a discriminare gli altri animali (e quindi mangiarli, sperimentarli e utilizzarli per vestiario e arredamento o nei mille modi in cui la nostra società li ha trasformati in merce e strumenti) sulla base di differenze ininfluenti dal punto di vista etico. Da una citazione di H. Kaplan: «I nostri nipoti un giorno ci chiederanno: “Tu dov’eri durante l’olocausto degli animali? Che cosa hai fatto per fermare questi crimini orribili?” A quel punto non potremo usare la stessa giustificazione per la seconda volta, dicendo che non lo sapevamo». Il festival, che contiene tutti gli ingredienti della festa popolare (cibo, bevande, musica, cinema, ballo, ecc.), sarà l’occasione per confrontarsi con la terribile condizione a cui costringiamo quotidianamente milioni di non umani. Ci saranno mostre, dibattiti, filmati sull’argomento e sarà anche un’occasione per avvicinarsi allo stile di vita vegan, che non prevede alcun tipo di sfruttamento animale (dal cibo che si mangia, ai vestiti che si indossano, dai cosmetici e detergenti che si usano, agli spettacoli a cui si assiste). I cuochi della festa saranno, come sempre, gli attivisti di Food not Bombs, gruppo che si impegna a raccogliere, cucinare e distribuire cibo gratuitamente in molte città del mondo. Alla logica della decrescita e della sostenibilità si ispirano anche i corsi e le conferenze che verranno tenuti durante la manifestazione, improntati al rispetto per i non umani e ad una forte critica della società del consumo e dello sfruttamento intensivo delle risorse. Parte essenziale del festival, oltre al cibo squisito, cruelty-free, biologico e a prezzo popolare, saranno le manifestazioni culturali, i dibattiti, le letture e gli incontri. La mattinata inizierà con una lezione di yoga, un torneo di biliardino e una colazione con cappuccini e torte. La sera si concluderà con giochi di gruppo. Il titolo della manifestazione veganch’IO è un invito alla realizzazione di un’etica declinata in prima persona. In un mondo che è così com’è anche perché si pensa sempre che siano gli altri che dovrebbero o non dovrebbero fare questo e quello, («Il mondo va male perché il potente di turno vuole così; quindi io non posso farci nulla»), l’appello a prendere posizione in prima persona a favore dei più deboli ci sembra particolarmente importante.

Il programma completo dell'evento sarà disponibile al seguente indirizzo: www.veganchio.org
info@veganchio.org oppure 335-8376756.

8/5 Genova ore 11. Volantinaggio antiacquario

volantinaggio : no all'acquario
Genovesi o circondario, villeggianti della domenica e volontari, per un'ora vi aspettiamo per dire NO davanti alla prigione per pesci e pinguini!!!

RESOCONTO: dunque che dire ? eravamo pochi ma buoni . Il volantinaggio ha mandato in stato di allarme i vigilantes che hanno chiamato i carabinieri per farci allontanare dalle casse ( pare che l'area antistante la PRIGIONE sia di un privato e quindi l'ente acquario ha vietato il volantinaggio di OGNI genere sul SUO territorio.
Ovviamente la cosa non ci ha scomposti e abbiamo volantinato a pochi metri dalle casse OLTRE il confine di stato. Sono stati fatti dei minicomizi. Altri con i loro cartelli chiedevano ai passanti che senso aveva pagare per vedere dei pupazzi schiavi. Insomma si son ben accorti della nostra presenza e il pubblico ha dato parecchi consensi ( specie quelli che uscivano).

mercoledì 4 maggio 2011

Prima di morire, si mise a piangere...



Boris, il toro salvato da Hillside Animal Sanctuary, (in Inghilterra) da un allevamento di produzione industriale, dove per le spaventose condizioni di vita si era ammalato. Anche se, una volta salvato, ha ricevuto tutte le cure, non è riuscito a sopravvivere. Prima di morire, si mise a piangere con il suo custode, forse per riconoscenza, forse per disperazione per non avere più forza. Tutti gli animali sentono e soffrono come te.

domenica 24 aprile 2011

Contestazione alla fiera "Slowfish"

Stiamo organizzando le iniziative di contestazione alla fiera "Slowfish", che si svolgera' a Genova dal 27 al 30 maggio, giorni in cui i pescatori di Slow Food, con il patrocinio della Regione Liguria, esibiranno il massacro dei pesci a cittadini e scolaresche da tutta Italia. E' piu' che mai necessario che il dolore di queste vittime trovi voce: prepariamo una mobilitazione da tutto il paese per gridare il nostro sdegno!
Comunicheremo a breve date e luoghi delle iniziative di contestazione. Sono previsti per ora pullman da Milano e Torino.
Chi volesse organizzare pullman da altre citta' e' pregato di comunicarlo prima possibile a:
bioviolenza@gmail.com.

martedì 29 marzo 2011

Antispecismo, allevamento “tradizionale” e auto-produzione

Marco Maurizi

Antispecismo, allevamento “tradizionale” e auto-produzione

Note per un dibattito che non manchi l’essenziale

Così vicini, così lontani

Il fatto che l’antispecismo non trovi di meglio da fare che polemizzare con le posizioni di chi “ama” e “rispetta” la natura pur continuando ad uccidere animali, può sembrare una bizzarria dovuta a quel classico eccesso di estremismo o settarismo che porta a criticare chi ti sta più vicino (l’ambientalismo radicale, gli alfieri del mondo contadino premoderno, i teorici dell’auto-produzione) piuttosto che unire le forze per combattere il vero nemico: il capitalismo globale tecno-finanziario. Ma il problema è che questa “vicinanza” è, probabilmente, illusoria e che non è possibile alcuna forma di convergenza tra posizioni diverse se prima non si è fatta necessaria chiarezza sulla natura di questa diversità. D’altronde, perché una qualsiasi forma di chiarezza possa realizzarsi su questo punto, sarebbe necessario riuscire a discutere nel merito delle rispettive posizioni, cosa che, come potrà testimoniare chiunque abbia assistito a confronti tra gli antispecisti e gli “amanti della natura”, accade di rado, per non dire mai.

Quello che vorrei fare in questo intervento è chiarire alcuni presupposti di questo mancato dialogo, allo scopo di renderlo finalmente possibile. Poiché intervengo come antispecista, è chiaro che tenterò di evidenziare quali sono gli aspetti della posizione antispecista che mi sembrano solitamente offuscati o non adeguatamente presi in considerazione in questo tipo di dibattiti. In secondo luogo, tenterò di chiarire quelli che mi sembrano i principali problemi che, da un punto di vista antispecista, emergono dalle posizioni dell’ambientalismo più radicale.


Riflettere sull’ossessione identitaria


È facile osservare, nelle discussioni che hanno ad oggetto il nostro rapporto con il non-umano, come la discussione degeneri facilmente in una lotta tra “vegani” e “non-vegani”. Si dirà: è inevitabile che accada così, basta solo evitare che il confronto diventi scontro tra identità irriducibili. Sembra inevitabile, infatti, che in ogni discussione in cui si scontrano tesi opposte attorno a cui si polarizzano opinioni e gruppi diversi, si inizi a parlare di “noi” e “voi”, cioè di “identità” fisse e rigide. Ma questo, nel caso specifico della disputa sul nostro rapporto con la natura in generale e con gli animali in particolare, è un fenomeno che andrebbe evitato perché impedisce strutturalmente di cogliere il vero oggetto del dibattito. Non si tratta solo di un problema di comunicazione (cioè di “come” si dicono le cose), ma del fatto che non si riesce a intendersi su ciò di cui si parla (dunque di “cosa” si sta parlando). In altri termini, la discussione non solo non va avanti, ma nemmeno inizia. O meglio, inizia un “dialogo” tra chi parla di A e chi parla di B, mentre entrambi sono convinti di parlare di C.

Anche per questo gli appelli ad andare oltre lo stallo comunicativo sono inefficaci e, in realtà, illusori. Certo, è necessario fare uno sforzo collettivo in questo senso per facilitare la comunicazione, ma le esortazioni a non scadere nella mera contrapposizione tra “noi” e “voi” non potranno avere successo se prima non si coglie la posizione di partenza di queste due tesi che non sono affatto simmetriche. Non ci troviamo, in questo dibattito, di fronte ad un’opposizione tra due identità. Perché soprattutto quelli che a prima vista sembrano possedere un’identità più netta e rigida – i vegani – sono proprio coloro che non dovrebbero mai permettersi di affrontare la discussione in questo modo. E non per “educazione” o per “facilitare” la comunicazione, ma perché non ne hanno il diritto. Per due motivi.

In primo luogo, perché presentandosi come “vegano” l’interlocutore antispecista rischia di far travisare completamente la sua posizione nella discussione. Chi è infatti il “vegano”? È una persona che “non mangia carne” e che spera o intima a terzi di essere come lui, cioè di adeguarsi alla sua identità cioè al suo modo di vivere? No, non è questo e, se fosse questo, avrebbero ragione coloro che gli si oppongono a trovare poco significativa la sua posizione e le sue opinioni. Il veganismo è infatti una pratica e, in quanto tale, non è il punto di partenza, la tesi che andrebbe discussa. È, al limite, il punto di arrivo della vera tesi che si tratta di discutere: ovvero la plausibilità etica e politica della liberazione animale. Il che significa: è possibile, auspicabile o necessario, in termini etici e politici, sottrarre gli animali non umani al giogo del potere umano, allo sfruttamento di cui sono fatti oggetto (meglio: attraverso cui sono resi “oggetti”), al dolore, alla morte? Questa è la domanda che i vegani pongono quando si parla del nostro rapporto con i non-umani. E la pongono non in quanto vegani (cioè portatori di uno stile di vita) ma in quanto antispecisti (cioè sostenitori di una visione etico-politica). Dunque sarebbe meglio che ad oggetto della discussione stesse l’antispecismo e non il veganismo[1].

In secondo luogo, e forse anche più importante, chi critica lo specismo non può dimenticare nemmeno per un momento che il suo compito nella discussione non è semplicemente affermare una tesi, ma fermare la mano che uccide delle vite: chi lotta per la liberazione animale cerca infatti di dare voce alle vittime impotenti di una sottomissione millenaria. Dietro di lui ci sono altre vite che, se potessero scegliere, sicuramente non accetterebbero il proprio destino di morte. Qual è allora “l’identità” dell’antispecista che parla nel dibattito? Quella di un umano o anche quella dei non-umani che egli spera di sottrarre al potere della società del dominio?

Questo non diminuisce la sua responsabilità nella discussione ma, anzi, la moltiplica, nel senso che egli deve mostrarsi responsabile nel far presente questo fatto (cosa di cui, occorre ammetterlo, raramente i vegani sono all’altezza). L’antispecista non deve, cioè, abusare della voce di cui è testimone, ma è importante che riesca a far emergere nella discussione che la sua posizione non è “sua”. Perché solo in questo modo può dire senza peccare di narcisismo morale: prendiamoci le nostre responsabililtà, discutiamo di ciò che siamo e, se possibile, cambiamo. Se questo aspetto non emerge e non viene messo al centro del dibattito allora effettivamente tutto diventa solo uno scontro tra “identità” umane contrapposte che non solo silenzierà, di nuovo, quelle voci animali inascoltate, ma che non potrà che avere gli esiti disastrosi che ben conosciamo. Se i vegani agiscono come portatori di uno “stile di vita” invece che come testimoni di una voce oppressa, mancano tragicamente il bersaglio e contribuiscono a rendere impossibile ogni discussione vera. Perché allora l’interlocutore vedrà in loro solo persone che cercano di affermare il proprio ego e il dolore che gonfia le loro voci apparirà inevitabilmente un urlo di prevaricazione.

D’altro canto, e anche questo va detto, se gli interlocutori dei vegani impostano la discussione ad un livello “immediato”, “pratico”, è inevitabile che si finisca per parlare di “stili di vita”. Se il problema dell’oppressione animale, della sua giustificabilità e necessità, viene affrontato non in sé ma per il modo in cui oggi gli stili di vita incidono sull’ambiente, si è già affossata la discussione. Quando si critica la produzione di soia o di riso per mostrare che anch’essa è violenta, si commette una scorrettezza. Si aggira la domanda sull’oppressione animale (“è giustificata?”) e si sposta automaticamente la discussione sugli “stili di vita” e sui loro “effetti” più o meno violenti. In questo modo, ci si sottrae ad una domanda di diritto con una constatazione di fatto: tu vegano non sei meno violento di me non-vegano. Tutti ugualmente colpevoli, tutti assolti. A parte le riserve che ho su questi “fatti” che vengono sbandierati come certezze assolute – e su cui dirò qualcosa alla fine di questo intervento – mi sembra chiaro che, così facendo, si elude ogni confronto nel merito. Si parla solo di ciò che interessa chi accetta l’oppressione animale (lo “stile di vita”) e non se l’oppressione sia in sé giusta.

Centrare i problemi politici


La questione, per come la vedo, andrebbe impostata in termini politici, cioè parlando del tipo di mondo per cui lottiamo. Quando si lotta contro il capitalismo globalizzato e contro tutte le forme di oppressione disegniamo infatti un mondo che ancora non c’è. Ora, rispetto a questa dinamica di liberazione c’è un problema sia con chi insegue l’ideale contadino tradizionale, sia con chi pratica l’autoproduzione.

1. I limiti della tradizione


In primo luogo, non è affatto chiaro perché il mondo agricolo “pre-moderno” dovrebbe essere considerato un ideale rispetto al mondo tecnologico contemporaneo. Infatti se si prende questo mondo così com’era, allora lo si dovrebbe restaurare con tutte le caratteristiche che esso possedeva (incluso il patriarcato, la gerontocrazia, il razzismo ecc.); senza dimenticare che lo sviluppo “tecnologico” esiste dall’alba dei tempi, dunque non è ben chiaro a quale fase di questo sviluppo bisognerebbe arrestarsi: a livello del 1500, cioè poco prima della modernità? E perché non all’anno 1000 o al neolitico? Chi, e come, stabilisce qual è il modello “ideale” di produzione?

Se poi si dice, come ovviamente si dice, che no, questo modello ci va bene per alcuni aspetti (il rispetto della natura), ma non per altri (la violenza interumana) allora scatta davvero la domanda: perché tutto dovrebbe cambiare tranne che l’uccisione di animali? La storia di ribellione cui facciamo parte è una storia che ha visto mettere in discussione progressivamente lo schiavismo e l’oppressione di genere. Ogni volta si giustificava questa oppressione nei modi più diversi, salvo poi dover ammettere che gli “inferiori” erano tali solo perché la violenza li rendeva tali. Per quale motivo gli animali - che fanno parte di questa storia al pari delle donne, degli schiavi e dei bambini - non dovrebbero vedersi riconosciuto il diritto alla libertà? Perché devono continuare a dipendere dalla nostra volontà e vivere solo per i nostri interessi? È questa la domanda fondamentale che gli antispecisti rivolgono ai loro interlocutori: cosa giustifica questo trattamento degli animali? L’unica risposta possibile, bisogna avere l’onestà di riconscerlo, è: la violenza. Poiché noi possiamo fare questo agli animali, lo facciamo. Non c’è altra giustificazione. È la stessa giustificazione che stava dietro alla violenza esercitata contro gli oppressi umani: possiamo opprimerli e lo facciamo. Tutte le argomentazioni che si possono trovare a posteriori per rendere “giusto” questo rapporto di sfruttamento sono delle razionalizzazioni. L’oppressione e la violenza vengono prima. E non sono cancellate dal trovare un appiglio che le giustifichi.

C’è uno squilibrio di forze in campo e questo rende possibile a noi di vivere sulle spalle degli altri animali. Abbiamo la forza per farlo, siamo la maggioranza a ritenere di volerlo fare, dunque lo facciamo. Se si arrivasse ad ammettere questo saremmo ad un punto del dibattito in cui si potrebbe parlare senza cattiva coscienza e con definitiva chiarezza. Ma allora sarebbe inevitabile anche dire, a chi pensa che uccidere animali sia giustificato perché lo vogliamo e abbiamo la forza per farlo, che chiunque potrebbe a suo piacimento escludere un essere umano dal cerchio della considerazione morale. Basta volerlo e avere la forza per farlo. E non c’è giustificazione “morale” che tenga perché la morale ha escluso esseri umani per millenni dal suo ambito e ha fornito ottime giustificazioni (cioè razionalizzazioni) di ciò. Ma la stessa riflessione morale che ha messo in crisi questi pregiudizi ha anche dimostrato che non esistono “ragioni” morali per escludere gli animali dall’etica. Sono esseri senzienti, comunicano, vivono e interagiscono con noi e tanto più interagiscono con noi quanto più noi li consideriamo degni di attenzione. Allora l’unica giustificazione per escluderli dalla considerazione etica resta la violenza: li escludiamo perché non vogliamo considerarli degni di attenzione morale. E se questa è la giustificazione, allora chiunque può escludere esseri senzienti (anche umani) dall’ambito della morale: basta volerlo e poterlo fare. Credo che questo sia il cuore della critica antispecista alla società tradizionale e mi sembra un punto difficilmente aggirabile.


2. L’auto-produzione e il mondo che non c’è


Per quanto riguarda invece l’auto-produzione, ho l’impressione che anche qui il dibattito sia schiacciato troppo sull’attualità e sullo “stile di vita”. Si afferma: il vostro stile di vita vegan comporta l’uccisione di vite non-umane (e lo sfruttamento di vite umane) che sarebbe in parte evitata da uno stile di vita non cittadino, anche non vegan, purché legato quanto più possibile all’auto-produzione.

Anche in questo caso si scambia la discussione sul veganismo con la discussione sull’antispecismo. È vero, il veganismo è il modo in cui singoli individui cercano di mettere in pratica l’antispecismo qui e ora, cioè in una società specista. Ma l’antispecismo è qualcosa di più di questo: è una visione generale dei rapporti tra umani e tra questi ultimi e le altre specie. È una visione sociale e politica complessiva. Dunque discutere questa visione a partire dall’impatto ambientale che lo stile di vita degli individui vegan comporta è totalmente errato. In tal modo, si confonde infatti la discussione di un ideale etico-politico (cioè, di nuovo, una discussione di diritto e di giustizia) con l’analisi dei presunti effetti che lo stile di vita vegan ha nel mondo attuale (cioè si sposta il discorso sul piano fattuale). Non solo. Oltre all’errore logico di eludere l’argomento che l’antispecista pone ad oggetto della discussione (“è giustificato uccidere animali?”), si aggiunge qui l’errore fattuale di considerare il mondo-com’è-oggi l’orizzonte di ogni possibile organizzazione della vita umana e non-umana. Nessuno tuttavia conosce le potenzialità di un mondo liberato. Ci sono troppe variabili incognite per poter dire quali sono i costi e gli effetti della liberazione animale. Le terre disponibili, la popolazione, per citarne solo due, sono fattori che non si possono calcolare in anticipo.

Il primo fattore non potrà essere preso adeguatamente in considerazione se non si pensa, al tempo stesso, l’espropriazione delle terre occupate dal capitale che è il presupposto di ogni azione di liberazione successiva (sia la sua equa distribuzione tra gli umani che la sua restituzione al resto del vivente). Ma anche la seconda variabile va considerata con attenzione. Non sta scritto da nessuna parte che un’umanità liberata voglia espandersi o anche solo mantenersi a livello attuale e non possa invece volontariamente o automaticamente realizzare una politica demografica inversa. Parliamo di fenomeni che sono lasciati alla decisione libera di un’umanità libera e che viaggiano tra le generazioni e che quindi non ha proprio senso definire in anticipo.

Ma allora, a maggior ragione, i nostri calcoli sull’attualità sono già sballati. Non si può misurare il futuro con i criteri del presente. L’auto-produzione è sicuramente un modello da seguire e ove possibile praticare nell’immediato, ma non può considerarsi (nei modi in cui è praticata ora) il necessario modello cui tutti dovranno in futuro adeguarsi.

C’è anche un terzo fattore che non viene minimamente citato nelle discussioni e che invece considero centrale: il ruolo che la scienza e la tecnica possono svolgere in un mondo liberato. So bene che molti considerano (giustamente) la scienza e la tecnica uno dei fattori distruttivi del mondo moderno. Ma si sorvola troppo spesso sul fatto che ciò è vero soprattutto perché scienza e tecnica lavorano al servizio del profitto e delle classi dominanti. Non è affatto necessario che sia così.[2] Cosa potrebbero fare uomini liberi e uguali che affrontano problemi discutendo razionalmente e senza dover difendere né il proprio interesse personale, nè quello della propria specie ma invece l’interesse di una collettività inter-specifica? Non lo sappiamo. Sappiamo però che oggi una società irrazionale e conflittuale come la nostra è in grado di vincere la forza di gravità e tenere in scacco l’antimateria. Mi riesce difficile credere che una società razionale e fondata sulla mutua solidarietà non possa produrre riso in modo non-violento. Ma potrei sbagliarmi. Quello che mi sembra importante e vorrei ribadire, è che le stesse possibilità tecniche di una società a venire non possono essere calcolate in anticipo e, dunque, andrebbe evitato come argomento di dibattito ogni necessità legata all’attuale condizione tecnica. O meglio, è giusto riconoscere ciò che oggi siamo costretti a fare visti i fattori sopra indicati (disponibilità della terra, popolazione, scienza e tecnica), ma non è lecito proiettare questi fattori nel futuro perché il loro rapporto e il loro peso specifico non sono predeterminabili.

E dunque ciò che deve apparire in primo piano non è tanto quello che oggi possiamo fare, ma quello che oggi vogliamo fare e che forse potremmo fare domani. E la domanda ritorna ad essere quella di prima: in un tale mondo si continuerà a voler dominare e uccidere altri esseri senzienti? Oppure parliamo di un mondo in cui questa volontà non c’è più e in cui si tenterà perciò, quanto più possibile, di avvicinarci a questo ideale di non-violenza e di rispetto dell’altro?

Cosa significa dire “non sono antispecista”?

Per concludere, sarebbe necessario allora intendersi su qual è il vero argomento di cui si dibatte quando si parla di natura. È lecito e necessario (pur con tutti i limiti indicati) parlare di “impatto ambientale” e dei limiti del sistema attuale che rendono (oggi) inevitabile una certa violenza che esercitiamo sul resto del vivente. Nessun vegan potrà fare a meno di considerare il proprio ruolo all’interno di una società complessa e accontentarsi delle proprie scelte individuali, lavandosi così la coscienza, dimenticando che si tratta in primo luogo di cambiare questa società.

Ma è altrettanto necessario, e aggiungerei, doveroso, per chi critica questo atteggiamento, considerare veramente e nel merito l’istanza etica e politica che l’antispecismo porta avanti. Tale istanza chiede la liberazione animale come conseguenza di un percorso storico che ha portato al riconoscimento progressivo del diritto alla libertà e all’autonomia di altri-da-noi (etnie, donne, bambini). Se coloro che si oppongono all’antispecismo condividono, come accade, questo percorso nel suo insieme, devono spiegare perché intendono interromperlo proprio quando esso, introducendo le voci di altri altri-da-noi (gli animali non umani), inizia a mettere in discussione il loro “stile di vita”. Finché non verrà mostrata una motivazione morale che possa rendere giusta questa presa di posizione – e finora non ne è stata prodotta nessuna: si sono sempre portati avanti argomenti fattuali (l’impatto ambientale ecc.) – gli antispecisti avranno tutto il diritto di interpretare questa ostinazione come difesa di un privilegio.

Questo rende le posizioni nella discussione asimmetriche. Nemmeno per gli “antispecisti” si può dire – come abbiamo detto all’inizio dei vegani – che sono un gruppo a difesa di se stesso, che si arrocca dietro un’identità: essi non hanno privilegi da proteggere. Vogliono solo che la voce delle vittime animali venga ascoltata. Possono sbagliare, anzi sicuramente lo fanno, soprattutto quando dimenticano questa loro natura di testimoni di una sofferenza altrui e si chiudono nella comoda difesa di un’etichetta e di uno stile di vita. Ma ciò non autorizza i loro interlocutori ad approfittarne e a cambiare discorso quando il discorso si fa fastidioso perché li richiama alle loro responsabilità etiche e politiche. Perché chi dichiara di “essere antispecista”, se è persona coerente e informata, dichiara la propria appartenenza ad un mondo che non c’è. Dichiara di essere disposto a fare tutto il possibile perché quel mondo si realizzi, perché la giustizia e la libertà abbiano la massima diffusione possibile. Chi invece dichiara di “non essere antispecista” non sta dicendo nulla, perché nessuno può fino in fondo essere antispecista in un mondo come il nostro che vive, di fatto, sullo sfruttamento degli umani e dei non-umani. Si può però volerlo fino in fondo, cioè voler agire fin da ora perché un mondo senza dominio si realizzi. Chi dichiara di “non essere antispecista” sta invece solo dicendo che non vuole esserlo[3], anzi che nemmeno vuole voler esserlo.. Chi dice “non sono antispecista” pensa di fare una constatazione di fatto (come dire: “non sono vegano”, “non faccio le cose che fai tu” ecc.) ma in realtà sta facendo una dichiarazione di intenti: sta dicendo “io non voglio essere antispecista”, cioè “non intendo fare tutto il possibile perché la libertà e la giustizia valgano per quanti più esseri viventi possibili”. Sta insomma chiudendo la sfera del possibile con una sua decisione.

Nessuno contesta la legittimità di questa decisione. Ma essa andrebbe esplicitata e non nascosta dietro razionalizzazioni a posteriori. Gli interlocutori degli antispecisti dovrebbero cioè avere il coraggio di ammettere ciò che non vogliono e dovrebbero poi chiedersi perché la libertà che sono disposti ad accordare ad altri esseri coincida curiosamente con i confini del proprio privilegio. Perché allora gli antispecisti potranno sempre pensare che quella che appare una decisione “libera” sia in realtà condizionata da un semplice ed egoistico interesse. E a pensar male, come diceva qualcuno, si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca.



[1] Ad ogni modo, anche sull’identità dell’antispecista dirò qualcosa verso la fine di questo intervento, perché anch’essa può dare adito a interpretazioni errate

[2] Non è qui ovviamente il caso di aprire la questione enorme della scienza e della tecnica. È chiaro, però, che se si accetta in parte l’evoluzione della scienza e della tecnica (come tutti i sostenitori delle fattorie “tradizionali” e dell’auto-produzione fanno), non si può negare il loro possibile sviluppo futuro. Altrimenti si cade in una posizione “primitivista” che nega, a mio modo di vedere in modo generico e affrettato, che si possa criticare scienza e tecnica in nome di una razionalità più ampia, una razionalità non alienata ma “erotizzata” nel senso di Herbert Marcuse. D’altronde, il nostro rapporto con l’ambiente e le altre specie è da sempre mediato dalla tecnologia (l’industria litica ci precede addirittura nell’evoluzione): la tecnica è parte della natura umana, non è qualcosa che le si sovrapponga dall’esterno e, dunque, al pari dei modi di produzione tradizionali, anche qui qualcuno dovrebbe spiegare quando è che lo sviluppo tecnologico dovrebbe arrestarsi per essere considerato “ottimale”. Al neolitico? Al paleolitico? E a quale delle tante e diverse “fasi” del paleolitico?

[3] Ringrazio Marco Reggio per questa osservazione.